Per comprendere il caso Renzi, ci vorrebbe in vita Max Weber

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Ego partito sum
Fosse in vita Max Weber il caso Renzi offrirebbe il destro per diverse generalizzazioni sociologiche. Ad esempio potrebbe fare da tipo ideale leggero al perdente che non si rassegna, in sè infantile e incapace di elaborare la frustrazione, in contrappunto al perdente di successo, cioè colui che è sconfitto ma incamera la stima per la buona condotta e la purezza delle virtù manifeste. Ma più generalmente Renzi si presta a fare da esempio, fra gli altri, della dinamica pseudo-carismatica che infetta le democrazie moderne. La crescente individualizzazione della società, con la messa in mora della fiducia nelle tradizioni ideologiche e delle autorità storicamente o legalmente certificate, ha finito per portare in auge nella politica una forma futile di personalizzazione. Tutti confidano nella personalità dell’eletto, ma al netto di ogni forma di magia e trascendenza. Aspetti senza i quali ogni carisma viene meno. Salvini e Di Maio, ad esempio, sono venerati non in quanto dotati di capacità straordinarie ma porprio perchè ‘sono come noi’. In loro gli individui si rispecchiano nella loro comune ordinarietà, nella mediocrità e sinanche nei cattivi sentimenti. Sdoganano cioè la loro intimità vergognosa sino a quel momento trattenuta. Il fatto poi che si chieda a costoro di esercitare un potere incontrastato, come guide, non fa che confermare la paradossalità dello pseudo carisma come compimento dell’egualitarismo individualizzante. La domanda di similarità è così forte che nessun leader può oggi affermarsi senza comunicare il suo lato rozzo e comune, ovvero qualunquista. Anche quando sia un miliardario assiso nell’olimpo più esclusivo della ricchezza. Anzi più scende dall’alto parlando terra terra più è ammirabile. Vale per Trump come ieri valeva per Berlusconi. Del resto entrambi politici ‘non professionisti’, perciò non appartenenti alla ‘casta’ del potere legale e tradizionale. Nessuno del resto chiede loro di rinunciare alla ricchezza (lo facessero diventerebbero davvero carismatici, come San Francesco, e ciò li renderebbe aureolati e come tali sospettabili di trascendenza, cioè non più ‘popolari’ e ‘terra-terra’).
Il caso dello pseudo-carisma renziano interpreta però un altro risvolto della tipologia. La totale assenza di elementi carismatici, intesi come missione e profezia, nel supposto leader. In lui i beruf è interamente ricoperto dall’ego e dalla sua pretesa narcisistica. Il personalismo politico regredisce direttamente, in tal senso, alla fase sadico-anale assumendo caratteri distruttivi Emblematico era il programma, perfettamente riuscito, della rottamazione che ora tende a rivolgersi verso la stessa organizzazione al seguito. Giacchè Renzi affida le possibilità di successo del nuovo partito personale proprio alla decisione di sacrificare i suoi stessi seguaci, lasciandoli alla bad company del Pd, e presentandosi ‘nudo’ e solitario alla nuova mistica comunione col ‘popolo-specchio’. Come un grillo di centro compito nella sua perfezione.
Questo tratto compulsivo e distruttivo è del resto intrinseco alla personalizzazione quando l’involucro ritentivo del partito e dell’organizzazione è troppo debole per trattenerla. La personalizzazione ha interagito necessariamente e rovinosamente con il carisma d’ufficio consegnato nelle istituzioni di partito, devastandolo. Di qui la vorticosa circolazione di leader pseudo-carismatici e l’allargarsi a dismisura del cimitero degli ex-leaders fuoriusciti. Mentre in passato una certa personalizzazione, anche con tratti carismatici, poteva convivere con l’organizzazione. Persino nell’epoca staliniana del culto della personalità (quando le oligarchie di partito erano periodicamente trasferite nei gulag se non passate sotto il plotone di esecuzione) il Partito conservava un suo carisma chiesastico residuo. Tanto è vero che il Pcus e il Pcc sono sopravvissuti a Stalin e a Mao. Destino benigno che potrebbe non valere per il Pd derenzizzato, tanto è distruttiva la forza virale del piccolo batterio pseudo-carismatico.
Occhetto aveva in sè qualche elemento della malattia, tanto è vero che se ne usci sdegnosamente dai Ds per accompagnarsi con un compare come Di Pietro. Infatti egli identificava il Pds con lui. Così come Prodi identificava l’Ulivo con lui stesso, anzichè identificarsi nell’Ulivo. Sicchè neanche prese la tessera del Pd veltroniano è inviò Parisi a fargli la guerriglia. Forme, entrambe, di personalismo ‘permaloso’. Del quale Renzi è un esempio all’ennesima potenza. Anch’egli identificava il Pd con sè stesso, con l’aggravante di non volergli neanche bene, dunque proiettando su di lui non solo l’amore di sè ma anche il disamore. per la sua natura goffa, brutta e sputacchiante. I casi di Veltroni, D’Alema e Bersani sono invece diversi. Veltroni, anche detronizzato, è rimasto nel Pd, è proprio in conseguenza di riconoscerlo come una sua creatura, per quanto sgraziata. In più il Pd bersaniano aveva rispetto per la ‘ditta’ e i suoi amministratori delegati. Come avveniva nella prima Repubblica dei partiti, quando i leader sostituiti erano conservati nell’oligarchia, venivano ascoltati e rispettati al punto di serbarli come ‘riserve’ della Repubblica. Nessuno veniva soppresso e condannato all’esilio, ma solo spostato nell’ambito dei ruoli interni del partito. Il Pci e la Dc, ma anche il Psi e gli altri partiti, per quanto piccoli, erano organizzazioni carismatiche secolari, basate sulla concertazione delle personalità. Nella Dc i segretari si alternavano alla guida, mentre il Pci aveva la forma di una monarchia costituzionale. I segretari uscivano solo con i piedi in avanti o per causa di impedimenti fisici, come i papi, entrando nella mitologia dell’organizzazione. Ma entrambe le modalità non facevano che confernmare la forza del carisma d’ufficio trattenuto e istituzionalizzato nell’organizzazione. Se Bersani e D’Alema alla fine sono usciti dal Pd non è per le stesse motivazioni di Prodi e Occhetto, ma perchè nel Pd renziano è venuto meno, con la rottamazione, il rispetto per le oligarchie e la rifunzionalizzazione nei ruoli del personale politico. Sono cioè stati costretti ad andarsene. Che è cosa ben diversa.
Ego partito sum, è la formula polisemica che meglio trattiene il paradosso pseudo-carismatico e la sua natura distruttiva. Il partito perde autonomia e si identifica con l’ego di turno, che poi ne fa strame, andandosene e lasciandolo in rovina. Nell’illusione di vivere l’ebbrezza del sopravvivente canettiano che troneggia sopra i cadaveri (i rottami) generati dalla sua mania omicida per il potere sovrano-personale. Cosa che poteva valere per Hitler e Mussolini, mentre nell’epoca dello pseudocarisma è solo una forma di comica e ubuistica (ma non meno dannosa) coglioneria. Comunque grazie Renzi. Vai col tuo Dio e liberaci dalla rottura. E’ il momento delle case di cura. Pregiudiziali per chiunque sia stato posseduto e condizionato dal delirio.
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