di Fausto Anderlini – 23 giugno 2019
Il conflitto centro-periferia è immanente. Nei comuni le frazioni trescano contro il centro capoluogale, nei comprensori i centri minori contro quello di maggior peso, nelle province le frange territoriali contro il centro amministrativo ordinatore, le piccole città contro le metropoli, le regioni contro lo Stato, i macro-territori marginali contro quelli privilegiati dallo sviluppo…e via salendo ecc. ecc. La dinamica polemica centro-periferia attualizza e generalizza la frattura fra città e campagna che ha accompagnato l’età contemporanea. Essa si attaglia perfettamente ad altre dimensioni divisorie: il basso e l’alto, il soggetto e il dominante, il ricco e il povero, il manuale e l’intellettuale, tradizione e modernità, il semplice e il complesso, purezza e mescolanza, la comunità e la società, l’organico e il meccanico, il naturale contro l’artificiale, l’autoctono e il diverso, il normale e il deviante, il popolo contro l’èlite,,,,,La periferia vive perennemente in un’aura sua propria: il senso dell’abbandono, della trascuratezza, della predazione, della corruzione, della fragilità di ciò che per definizione è dato come solido. Lo si potrebbe definire come una sorta di presagio sotterraneo, un bradisismo, una forma di sismicità. E nessuna metafora viene a miglior proposito. C’è una correlazione fra catastrofe e sviluppo civile. Che può avvenire in due sensi. Verso la luce o verso l’oscurità di forze primordiali.
Il pensiero illuminista (per l’appunto) prende il volo riflettendo sul terremoto di Lisbona, estrema periferia dell’Europa. Ma non è questo il caso oggi più vicino e frequente, anche se non mancavano le premesse. L’impero sovietico crolla per due catastrofi occorse alla periferia. Chernobyl e il terremoto armeno. Quando Gorbaciov si reca ad Erevan per significare la premura di un potere centrale finalmente prossimo alle periferie, la popolazione anzichè ringraziarlo lo contesta. Se il centro si mostra debole a maggior ragione l’aura della periferia prende forza. Esce dal guscio, viene allo scoperto e si fa ribelle. In Italia tutte le zone terremotate sono passate alla Lega, malgrado gli sforzi profusi dalle autorità ‘centrali’ di vario livello. Talvolta l’amico Vasco mi parla di come è accolto con riconoscenza nelle aree terremotate, ivi comprese la bassa emiliana fra Modena Ferrara e Bologna. Certo a lui non è occorsa la sventura di Gorbaciov. Cionondimeno queste aree dove la Lega si era affacciata nel 2010, dopo il terremoto sono finite massicciamente sotto la sua egemonia. Il terremoto vulnera tutte le relazioni sociali e materiali (specie patrimoniali) e precipita la gente in una penosa incertezza, mentre il mondo circostante, il centro, l’èlite, le istituzioni se la spassano.
Per quanto si prodighino in un processo di ricostruzione necessariamente complesso non possono liberarsi del sospetto che ne stiano approfittando. L’Emilia del buon governo rosso cede per la concomitanza di un terremoto e di una sciagurata indagine della magistratura su un cumulo di stupidi scontrini. Nell’indagine c’è poco arrosto, nel caso del Presidente Errani manca addirittura la materia prima, ma il fumo che emana serve perfettamente allo scopo dell’aura: ‘in alto sono tutti uguali’. Una legislatura viene traumaticamente interrotta e alle elezioni del 2014 solo un terzo dell’elettorato si presenta ai seggi. Una massa astensionista che poi transita al M5S e infine approda alla Lega. Le periferie che un tempo erano la base di forza della sub-cultura rossa cedono di schianto. Un terremoto.
E comunque questa dinamica ostile centro e periferia riguarda anche il nostro micro-spazio interiore. Il nostro Io è circondato dalla periferia dell’Es, viviamo perennemente sotto la minaccia di una catastrofe che potrebbe trasformarci in ciò che diventiamo ma che non vogliamo essere. La partita è aperta, si attendono soccorsi che però non arrivano. Col cazzo che c’è un lieto fine.