Fonte: Il Manifesto
Forse si dovrà mettere mano al funzionamento del nostro Parlamento e della democrazia rappresentativa. Certamente dovremo cogliere la grande occasione di progettare una ripresa dell’economia per indirizzarla verso uno sviluppo sostenibile utilizzando una discreta quantità di risorse che l’Europa metterà a disposizione. Ed era da settant’ anni che non si presentava una occasione del genere. Sul primo obiettivo si potrà partire una volta smaltito l’esito del voto di domenica.
Sul secondo si stanno già scaldando i motori. A livello europeo si stanno delineando due modalità di utilizzo delle risorse: una di stampo più keynesiano rivolta a stimolare la domanda e sostenere famiglie ed imprese ed un’altra più dirigista ed orientata ad investimenti mirati e nei settori strategici.
In Italia dovremo muoverci entro due binari: da un lato i tre macroindirizzi fissati dall’Europa (digitalizzazione, sostenibilità ambientale, disuguaglianze) e dall’altro le migliaia di progetti già nei cassetti di tutte le amministrazioni e quelli che saranno proposti da gruppi di interesse e soggetti economici e sociali. Ci sarà, quindi, una forte spinta ad operare un mix tra i due indirizzi. Ma essendo già in campo 100 miliardi, spesi per tamponare l’emergenza, sarà importante che i 200 che si prevedono, vengano concentrati su obiettivi mirati.
Come procedere non è problema tecnico, di efficienza della spesa, ma squisitamente politico, di obiettivi da perseguire. Ecco perché la fase che si apre può essere interessante. Soprattutto a sinistra. Da anni si parla di andare oltre il Pil, di costringere la politica a darsi obiettivi misurandosi con il loro raggiungimento. In questa direzione oggi spingono il Forum Disuguaglianze e Diversità guidato da Fabrizio Barca e, tra giorni, si apre il Festival dell’Asvis, guidata da Enrico Giovannini, che dirà la sua sullo stato di avanzamento dello Sviluppo Sostenibile e, penso, su questi temi.
Riuscirà la politica ad essere protagonista di questo processo? Due spunti: metodo e merito. Metodo. Il piano europeo è denominato, non a caso, Next Generation. Ha l’ambizione di suggerire un progetto pluriennale di politica economica e sociale che guardi al futuro ed ai giovani. Penso che le forze politiche, il Parlamento, debbano definire un processo pubblico e trasparente di gestione di questa fase: definizione degli obiettivi, programmazione temporale della loro realizzazione, loro articolazione nei territori, assegnazione delle responsabilità ai diversi livelli istituzionali. Delineare un tableau de bord varato dal Parlamento sugli obiettivi, condivisi con forze politiche/cittadini/Europa, indicando il percorso a tappe, monitorando periodicamente a che punto si è giunti e quali aggiustamenti apportare.
Sarà difficile che la politica si auto imponga regole e tappe che ne vincolano i comportamenti futuri, ma proprio per questo, quella che ci si presenta può essere un’occasione per rinnovare la politica e per riannodare i fili di una democrazia sempre più amputata della partecipazione dei cittadini alle scelte e della loro funzione di controllori dell’operato pubblico. Merito. Dentro i due binari di cui si parlava – tre obiettivi europei e mille progetti locali e settoriali – si rischia un’ubriacatura di dati ed uno spreco di risorse. Lasciamo ai tecnici la costruzione dettagliata del tableau de bord di cui si parlava.
Ma perché vi sia coinvolgimento dei cittadini e protagonismo dei giovani, occorre che il Piano abbia una sua visione ed una stella polare a guidarlo. Nella cultura che si è affermata sembra scontato un automatismo: il lavoro lo crea l’impresa, quindi il sostegno all’impresa produce lavoro. Purtroppo non è così semplice e scontato. Decidere se il lavoro è obiettivo derivato o centrale non è secondario.
E ci riferiamo qui a tutti gli aspetti che lo qualificano: quanto sicuro e quanto precario, quanto maschile e quanto femminile, quanto nel nord e nei tanti sud del paese, quanto tra i giovani e quanto tra gli anziani, quanto nei settori e nelle forme tradizionali e quanto nei settori e nelle forme nuove. E, di conseguenza, il reddito. Quanto se ne crea e distribuisce alle diverse forme di lavoro autonome e dipendenti, nelle mille sfumature vecchie e nuove e nei confini mobili tra lavoro e non lavoro, volontario ed obbligato, per bisogno e per piacere.
Chi si fa portatore, in un confronto civile e democratico di questi interessi e punti di vista, di produrre dialettica per arrivare dopo alla sintesi ed alla composizione degli interessi? Dietro le quinte della politica si stanno muovendo forze ed interessi che puntano a condizionare la spartizione delle risorse ed a costruire nuovi equilibri funzionali. Dopo le mille articolazioni/divisioni sul referendum dobbiamo cercare e trovare un cammino comune da compiere in campo aperto e con una parte di società. Andare al voto pensando al dopo.