di Alfredo Morganti – 16 marzo 2016
Torno sul tema scuola di formazione PD. E sui giovani che vengono invitati a Roma per studiare e confrontarsi con i pezzi da novanta del partito. Ho detto ieri che le ovazioni al premier e agli altri relatori e insegnanti con la scuola e la formazione non c’entrano proprio nulla. Così come non c’entra nulla lo streaming, che spinge gli ‘insegnanti’ medesimi a parlare più al popolo che alla platea reale di ‘studenti’ che hanno di fronte. Trasformando una lezione in un comizio, con esiti di cattivo gusto quando da quel palco ‘formativo’ si attacca la sinistra interna in streaming e si ricevono dalla platea ovazioni in risposta.
Oggi vorrei aggiungere che c’è una contraddizione insanabile tra l’idea stessa di scuola di formazione (persino nel senso più serio, efficace e funzionale possibile) e quello delle ‘primarie’, ossia di una selezione della classe dirigente affidata al bussolotto dei gazebo ‘apertissimi’ anche al voto degli avversari (anzi, tanto più). E taccio sulle irregolarità, per amore di patria. C’è contraddizione tra l’idea che il nuovo dirigente debba studiare, essere bravo, affidarsi ai saperi e agli insegnamenti di un maestro, e la prassi che vuole la classe dirigente selezionata su basi relazionali, amicali, clientelari, e su strumenti di voto dove tutto è concesso, tanto trattasi solo di ‘distorsioni’ che non inficiano la validità dello strumento (sic!).
Ora mi metto dalla parte dei quei giovani chiamati da tutta Italia, a cui concedono persino di fare ovazioni quando un insegnante svolge la propria lezione (in taluni casi lezione-comizio). Mi metto dalla loro parte, perché sono l’ultima ruota di questo meccanismo perverso che esalta la meritocrazia, per consentire invece il trionfo dei meccanismi di selezione relazionali e, comunque affidati a uno strumento (le primarie aperte) parificabile al terno al lotto. Chi glielo dirà a questi giovani che studiare è inutile? Che le competenze che serviranno per candidarsi a Sindaco, ad Assessore, a Ministro, a consigliere o deputato non sono quelle che Emanuele Macaluso ha ‘insegnato’ a Roma, ma talune ‘praticità’ più quotidiane, funzionalità più scaltre, regole più astute?
Chi glielo dice a questi giovani bravi e volenterosi (e forse sprecati) che c’era molta più meritocrazia, più studio, più dedizione, più severità nella selezione dei dirigenti del PCI (il vecchio partito di massa ideologico e identitario) che non nel ‘nuovo’ PD? Chi glielo spiega che un giorno dovranno sottostare a comportamenti che, da ventenni, avrebbero schifato? Che l’unico vero merito è solo quello di vincere, asfaltare, soggiogare, cancellare, saltare in groppa, scavalcare, scansare, abiurare, disdegnare, rottamare, e da lì volare a Palazzo Chigi o in un consiglio comunale, poco importa dove? Che le primarie (e forse le ovazioni e lo streaming) sono nel DNA del PD ma lo studio no?