Il PD impantanato non fa l’analisi della sconfitta. Roba vecchia, dicono

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 luglio 2016

Tempo fa un amico del PD mi ha detto, con tono un po’ ironico un po’ beffardo, che il tempo delle analisi delle sconfitte è finito, e che quella era roba da vecchia sinistra. Mi ha detto di aver anche partecipato un tempo a questo “antico rito”, e di esserne ancora scosso. Bisogna guardare avanti, ha poi aggiunto guardandomi negli occhi, come farebbe un guru della comunicazione ben pagato. Basta con le liturgie, ha ripetuto. Ecco, lui è uno di quelli che non parla di sconfitte, lui è uno di quelli che dice ‘sì’, come un milite. Anche Renzi, il 4 luglio scorso in Direzione non ha fatto l’analisi del voto, e si è quasi schernito che qualcuno ancora gliela chiedesse. C’è ben altro da fare e pensare, ha detto. C’è tutto un mondo intorno, cantavano i Matia Bazar, e voi siete ancora lì a perdere tempo col risultato delle amministrative. Nemmeno la rottamazione vi ha fermato. Nemmeno il vento del cambiamento che spira inesorabile.

Oggi Massimo Franco sul Corsera nota come Renzi si sia mostrato disponibile a rivedere qualcosina dell’Italicum e ad aprire allo spacchettamento del referendum. Tempo addietro in un retroscena sempre del Corriere, si diceva invece che il premier lasciava trapelare cose o faceva parlare i suoi solo per capire le reazioni altrui, per stanare gli avversari, altro che aperture. Si mettessero d’accordo in redazione insomma sulla vera natura delle mosse di Renzi. Detto ciò, Franco racconta oggi che gli avversari del premier avrebbero interpretato queste (presunte) aperture su Italicum e spacchettamento come un segno di debolezza (lo penso anch’io in effetti), definendo la sua una “strategia dell’arretramento, figlia [anche] della sconfitta alle Amministrative di giugno”. Curioso no? I renziani non fanno l’analisi della sconfitta. Si limitano solo a subirne le conseguenze, come pugni sullo stomaco, senza mai rinunciare all’arroganza di facciata.

Quando incontrerò di nuovo l’amico del PD, gli dirò che sì, loro l’analisi della sconfitta non la fanno. Vero. La sconfitta si limitano a viverla con arretramenti e fibrillazioni interne. Ma non è l’unica analisi che non svolgono. I ‘nuovi’ in realtà non fanno alcuna analisi, alcun dibattito, alcuna vera discussione pubblica. Parlano, ma solo in streaming o davanti a una telecamera. Per il resto zitti e muti. Come soldati sempre più impantanati marciano silenziosamente, rianimandosi solo davanti a un microfono, infarcendo i loro zaini della stessa arroganza ma di un numero sempre più grande di dubbi. Sino a che la strategia dell’arretramento verrà ordinata a tutti, come una Caporetto, e tutti silenziosamente ne prenderanno atto, ‘arretrando’ verso lo spacchettamento o il premio alle coalizioni.

Non tutti certo, qualcuno dirà che lo sapeva sin dall’inizio che andava a finire così, che Renzi sbagliava, che così si perde. E parteciperanno a qualche cena di corrente. Oppure diserteranno direttamente, passeranno ad altre fazioni, molleranno la barca, accoltelleranno Cesare, o faranno il salto della quaglia. Ma sempre senza un’analisi della sconfitta, perché quella è roba vecchia, sorpassata, troppo intelligente in fondo. Lui, il soldato impantanato, si limiterà a viverla la sconfitta, dentro di sé, come una specie di cuneo, da disertore magari o da complottista. Pronto a salire su qualche altra cadrega o carriola di passaggio. Sempre vittorioso, in fondo. Ed ecco perché l’analisi della sconfitta non la fa. Perché lui, alla fin fine, non perde mai.

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