Pd, i surrogati renziani verso l’Europa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
I surrogati
Cecilia Strada, l’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori, il deputato Alessandro Zan (eletto due volte: a seconda dell’opzione, passeranno Pierfrancesco Maran o Annalisa Corrado), Irene Tinagli (già Scelta Civica), Brando Benifei, Stefano Bonaccini, le eurodeputate uscenti Alessandra Moretti ed Elisabetta Gualmini, Nicola Zingaretti, l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella, l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, l’eurodeputata uscente Camilla Laureti, l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio (che all’ultimo ha scavalcato Alessia Morani), Antonio Decaro, ex sindaco di Bari, Lucia Annunziata, il deputato campano Raffaele “Lello“ Topo, l’eurodeputata uscente Pina Picierno, l’ex senatore Sandro Ruotolo, Georgia Tramacere, vicesindaca di Aradeo (Lecce), il consigliere comunale di Palermo Giuseppe Lupo.
Sono i nomi degli eletti del PD nel parlamento europeo. Oltre la metà esprimono un mondo che sembra pervicacemente permanere nonostante i tentativi di rinnovamento e le proclamate vittorie. Alcuni di loro sono recordman di preferenze, e prendono molti più voti della stessa segretaria Schlein. In buona parte sono il PD “non unitario” oppure unitario, ma solo in base a una scelta pregiudiziale atlantista, belligerante e guerrafondaia (Giorgio Gori, per dire). Altri ancora sono presenze inquietanti per un partito di sinistra, residui fossili di un PD da dimenticare, centrista per vocazione maggioritaria, veri e propri surrogati o peggio di quel mondo renziano che sembra aver segnato irrimediabilmente il partito, come una cicatrice che non va via. Alcuni di costoro hanno di fatto trainato il buon risultato del PD (al netto di un’astensione da far venire la pelle d’oca), anzi ne sono stati in buona parte gli artefici reali. Sono i famosi cacicchi, anzi i supercacicchi, a cui si vorrebbe adesso togliere il potere di veto (ex sindaci, ex governatori, habitué del parlamento europeo come la cosiddetta Lady Like). Impresa davvero complessa, mi pare.
Elly Schlein, a cui va comunque la mia solidarietà, ha detto che ha vinto la spinta unitaria del PD. Di quale PD? Il suo, quello che lotta per il rinnovamento, oppure quello di chi detiene il bastone e arraffa consenso nel territorio, e che è tutto men che unitario, e si è probabilmente persino rallegrato del tonfo dei 5stelle? A prima vista, il gruppo del PD in parlamento europeo sarà infarcito di surrogati renziani, che non andranno lì a fare la colla, anzi. Vedrete come l’auspicio di Gori di un partito che costruisce l’unità sulla guerra prenderà terreno e sarà, oggi come oggi, il vero collante di un blocco politico che annaspa contro l’onda nera.
A essere onesti, è ancora la battaglia dei “rinnovatori” contro i “surrogati”, con l’avvertenza che questi ultimi fanno sporte del consenso personale raccolto nelle città, nelle regioni, tra la gente. Un consenso che peserà, tant’è che Bonaccini (vado a memoria) si è complimentato con la Schlein, per non aver fatto una corsa personale, ma per aver guardato generosamente (diciamo) al partito nel suo complesso. Dove per “partito” qui si intende la corsa dei surrogati renziani verso l’Europa. Una corsa che potrebbe essere spesa politicamente dai surrogati medesimi, ove se ne manifestasse l’occasione, puntando diritti alla segreteria nazionale del PD. Ma per questo vedremo.
Commento:
Walter Ottria

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