di Alfredo Morganti – 28 luglio 2014
Sarà che mi sono laureato in storia della critica letteraria, sarà che amo l’interpretazione dei testi, sarà che mi piacciono i thriller, epperò questa storia del Patto del Nazareno e del suo essere un testo scritto mi sta davvero appassionando. Toti ha parlato di un appunto vergato addirittura a penna (depositato dove?), Brunetta di una seconda versione (una variante continiana!) “subita” però da Berlusconi. Mi chiedo anche: la grafia sarebbe quella di Verdini? O di Guerini? E poi la perla: le modifiche sopravvenute col tempo, dice il Corsera, sarebbero certificate da una serie di sms memorizzati dai quattro firmatari del Patto. Capite? Gli sms sono divenuti fonte di diritto privato, una sorta di imperitura garanzia costituzionale depositata nella memoria di taluni super-cellulari (quali? e dove sono depositati a loro volta? oppure le modifiche sono state immesse in qualche banca dati? o in un super cloud di Stato?).
Di questo si tratta, di una specie di pizzino. Integrato modernamente da sms. A questo ci si affida per modificare la Costituzione italiana. Roba veloce. Roba americana. Altro che Bicamerali lunghe e noiose, dove si studia, si discute, ci si confronta. Quella di D’Alema fu fatta naufragare proditoriamente e infamata come ‘patto della crostata’. Eppure era il frutto di un lungo e coscienzioso lavoro. E l’attuale? L’attuale patto, dico, questo sì un ‘patto’ e pure senza crostata di contorno. Perché il punto vero è il seguente: c’è un documento, sottoscritto dal Capo del governo, dal Capo di Forza Italia e dai principali maggiorenti di partito che fissa la linea al Paese sulle riforme istituzionali e costituzionali, e che non è stato discusso e approvato dai partiti pure impegnati in prima linea nelle riforme stesse. Ma che, nonostante ciò, nonostante non sia un atto pubblico, sembra un decalogo inciso su marmo, perché non ammette disubbidienza alcuna, nemmeno di sguincio. Anzi. Passi che Forza Italia è partito padronale e dunque il Capo fa e disfa. Ma il PD no, il PD non è partito padronale, a meno che non lo sia diventato in questi ultimi mesi (con il consenso di molti saltacarrozza), ed allora sarebbe assolutamente corretta la ridenominazione in PD(R), come già taluni insinuano (Scalfari ieri).
Le cose stanno così? L’Italia procede a strappi verso un sistema istituzionale ultra maggioritario e ultra decisionista, guidata nella perigliosa rotta da un foglietto di carta vergato a penna, che indica per intero la road map (contropartite comprese, prima tra tutte il presidenzialismo) e non ammette deroghe (definite tout court ‘sabotaggi’)? Una road map corretta a forza di sms? E nessuno fa domande, giornalisti per primi e gli italiani in genere? A breve, insomma, potremmo trovarci dinanzi a questa situazione: elezione diretta del presidente o del premier o di chi per loro; Camera eletta con sistema ultramaggioritario (a D’Alimonte non basta nemmeno il premio del 52%!), liste bloccate e deputati nominati dalla segreteria di partito (ossia da Palazzo Chigi); Senato eletto dai consiglieri regionali a liste bloccate; un eventuale referendum confermativo congegnato come una sorta di plebiscito. Un successo completo per chi ha sottoscritto il Patto, non c’è che dire.