di Alfredo Morganti – 25 aprile 2016
Il 25 aprile bisognerebbe parlare di 25 aprile. Questo è certo. Per non dimenticare e per non mollare il fronte dell’antifascismo e della democrazia. Poi però le vicende politiche ti deviano un po’, e ti trovi a leggere della rottura dentro al centrodestra, che è chiarissima, che è lampante. Berlusconiani moderati da una parte, destra salviniana-meloniana dall’altra. Appare evidente che questo smottamento ha ragioni non propriamente ideali, almeno sul lato moderato. È chiarissimo che sta suonando la sirena del governo, del partitone di centro, di un’alleanza che sostenga e rafforzi l’attuale esecutivo. Tutto ciò si tradurrebbe in ministeri, sottosegretariati, sottogoverno di vario tipo per molti notabili ex o tuttora berlusconiani. Tant’è che il livello della politica nazionale tende a prevalere su quella locale, al punto che si è pronti a sacrificare il proprio candidato pur di sostenere questo disegno. Che, quindi, i confini della politica scompaiano (e pure i partiti che presidiavano quei confini) non deve affatto destare meraviglia.
Cosa accade, insomma? È in corso uno ‘scossone’, che spinge verso il partitone di centro. Da una parte il Patto del Nazareno si implementa e diventa pratica politica. Dall’altra il Partito della Nazione prende viepiù forma. I due fenomeni convergono nel dare all’Italia un Partito Democratico e un esecutivo ormai stabilmente collocati al centro, rafforzati da new entry politiche, in nome di un’alleanza moderata che sappia nautralizzare la sinistra, o quel poco che continua a chiamarsi tale e a richiamarsi a quei valori. Per ora sono scosse, ma potrebbe diventare un terremoto, nel momento in cui il combinato disposto di Italicum e nuova Costituzione stringeranno la loro tenaglia. Il marchingegno che ne nasce è come un magnete: calamita verso il ‘partitone’ di centro pezzi e spezzoni politici e personali che mostrano, in tutta evidenza, come la ‘vocazione maggioritaria’ non sia altro che una corsa verso le poltrone che contano da parte di segmenti sembra più vasti di ceto politico, nazionale e locale. Si sta saldando (o prova a saldarsi) un fronte che occuperà la palude centrale, con ciò compiendo la grande metamorfosi nazionale, quella che portato dalla Prima Repubblica, attraverso la leva di tangentopoli, e poi il berlusconismo e infine il renzismo, alla vera Seconda Repubblica, quella che sta nascendo sotto i nostri occhi.
Ma qui ritorna il 25 aprile. La Resistenza, la Liberazione, la Costituzione, la rinascita del sistema dei partiti, le istituzioni sorte dopo il bagno fascista furono il segno concreto che risorgeva l’idealità democratica e repubblicana, e con essa i valori della partecipazione, della rappresentanza, della democrazia. Valori in senso forte, non ancora i calcoli cinici che oggi spostano ceto politico a seconda delle convenienze. E non solo ceto politico, ma anche il sottobosco di consulenti, piccoli dirigenti, cerchi magici, assistenti, esperti, ecc., che si muovono come un esercito al comando dei loro generali (o spesso cambiano generale a seconda delle opportunità: ne conosco molti, e se li conosci li eviti). Il 25 Aprile (la lotta di liberazione, la resistenza, la nuova democrazia) sono lì a testimoniare che non è sempre stato com’è oggi, com’è da venti anni in qua. E oggi ricordare quegli anni di Resistenza e poi il dopoguerra, la ricostruzione e quindi la Costituzione Repubblica vuol dire richiamarsi a valori che oggi il cinismo ha spazzato via quasi del tutto. La nuova Resistenza è lavorare per battere il cinismo politico, i cinici interpreti e i progetti politici che su quel cinismo speculano. Hanno ridotto l’antifascismo, la democrazia, la partecipazione e il Parlamento a innocui simboli. Sta a noi ritrasformarli in realtà. Ecco uno dei compiti della sinistra, oggi.