di Alfredo Morganti – 25 luglio 2016
LA POLITICA CHE DIVENTA MARKETING INTERPRETA I CITTADINI COME CONSUMATORI. UN GURU SI IMPOSSESSA DEL PARTITO E LO TRASFORMA IN UN’AGENZIA DI PROMOTER D’ASSALTO. IL PORTA A PORTA DIVENTA UNA TELEVENDITA DI IDEE.
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Il guru li ha riuniti e ha detto loro che debbono pedalare, altro che social, post, hashtag o tweet. Pe-da-la-re. Debbono andare casa per casa a convincere gli indecisi, trascurando solo quelli già convinti per il No. La base informativa verrà dai Big Data, macro aggregazioni di numeri, cifre e percentuali che sanno tutto di noi: vita, morte, miracoli e soprattutto scelte politiche. Come se fossimo semplici consumatori, non cittadini, come se acquistassimo a un supermercato, non come se decidessimo per il nostro destino di donne e uomini in piena libertà. Busseranno alle nostre case, indirizzati dal guru, e faranno leva sulle nostre incertezze, i nostri dubbi, la nostra eventuale disinformazione. E ci proporranno il loro catalogo di amenità, di frasi fatte e di scalette argomentative ben studiate. Come per venderci qualcosa, o proporci un nuovo operatore telefonico, o suggerirci una nuova fede religiosa.
Si badi, non è il porta a porta il problema. Lo facevamo col PCI negli anni settanta e ottanta, quando Renzi era ancora un bambino e non era andato alla Ruota della Fortuna. Bussavamo alle porte, tutte, senza alcun guru che ci indicasse i civici o gli interni da porre sotto attacco. Eravamo quasi sempre ben accolti, con educazione, chiedevamo sottoscrizioni, portavamo materiale elettorale, si discuteva dei problemi locali. Era un modo per stare tra i cittadini e rafforzare i collegamenti sociali. I comunisti erano gente tra la gente, lavoratori tra i lavoratori, cittadini tra i cittadini. Non venditori tra gli acquirenti, non promoter tra i clienti, non agguerriti ‘volontari’ di un comitato che si rivolge a donne e uomini affinché imparino a ‘dire Sì’ (come si raccomanda Renzi). Il problema non è il porta a porta, dunque, ma la trasformazione della politica in comunicazione, dei militanti politici in volontari che entrano in un Comitato per fare carriera nel PD, di un partito in un’agenzia, di un comitato in una task force di venditori d’assalto, che non propongono merci ma idee, che non vendono oggetti ma convinzioni politiche, che non si rivolgono a liberi cittadini ma a ipotetici ‘consumatori’ politici.
Quando D’Alema sostiene che bisogna lasciarci votare in libertà dice proprio questo, anche perché c’è la Costituzione in ballo. Fa un appello politico, invita a non sottoporre i cittadini alle ricette di un guru oppure ai diktat di un partito che opera come un promoter aziendale. La politica è libertà, è coscienza, è responsabilità, è forza, è moralità, è partecipazione, è sistema dei partiti. Ma dinanzi alle strategie di marketing tutto ciò si dissolve, perde peso, e si diventa più poveri anche dal punto di vista etico. Il mercato diventa totalità, e la coscienza niente. Lo so, adesso starete tutti a dire che applicare il marketing alla politica è normale, democratico, che non siamo più ai comizi e ai volantini, che la modernità non va ignorata. Ma allora osservate le condizioni odierne della politica, guardate che leader ci ritroviamo, guardate lo stato del nostro parlamento, degli elettori che non votano più, delle riforme che non sono riforme ma cose così, da cambiare ancor prima che entrino in funzione. Guardate tutto questo e poi ditemi se è normale, se è utile, se è efficace che la politica si affidi anima e corpo al marketing, ai guru, alle vendite porta a porta, e a certi uomini senza qualità né spessore oggi insediati a Palazzo. E se la pessima qualità della politica non dipenda anche, o soprattutto, dal suo snaturamento commerciale. Perché questo è.