di Alfredo Morganti – 8 agosto 2017
Stefano Folli è un giornalista moderato, un repubblicano, un’opinionista che non ha mai espresso giudizi radicali o estemporanei. Soppesa sempre le parole e cerca di mantenere un equilibrio. Sin troppo, a dire il vero. Per questo se scrive certe frasi, esse pesano considerevolmente. Prendiamo, per dire, il pezzo di oggi per ‘Repubblica’. Folli fa un ragionamento sull’immigrazione e le Ong, e poi ne trae l’opinione che il PD è un partito “dipendente dalle giravolte tattiche del suo leader”. Se l’avessi detto io, qualcuno avrebbe obiettato sui miei presunti pregiudizi. Ma se lo dice Folli, c’è poco da obiettare. Bisogna ragionarci sopra.
Un partito che dipende dalle giravolte tattiche del leader non è un partito, ma un club cucito attorno al Capo. Quel che decide questo, gli iscritti al Club fanno. Anche se la decisione fosse improvvisa, ribaltasse la precedente posizione, apparisse più una boutade che una deliberazione politica, tutti si adeguerebbero, si allineerebbero, come in tutti i Club che si rispettano. Ecco la sequenza: a) le vite dei migranti vanno salvate, costi quel che costi, b) aiutiamoli a casa loro, c) guai a chi li aiuta, d) ributtiamoli a casa loro e facciamola finita. Il passaggio a) – d) è avvenuto nel tempo di un battito di ciglia, con una velocità direttamente proporzionale all’avvicinarsi della scadenza elettorale e alla crescita della destra nei sondaggi. Ecco cosa intende Folli per ‘giravolta’. Ed ecco cosa intende per ‘partito che fa giravolte’.
Non voglio infierire. Vi chiedo soltanto se, a vostro parere, questi partiti che fanno giravolte al segno convenuto del Capo, possano: 1) essere classificati come ‘partiti’; 2) aspirare susseguentemente a ruoli di governo nazionale; 3) simboleggiare la buona politica. Per quel che mi riguarda io rispondo ‘no’ a tutte e tre le domande. E credo che, per primi, questo lo sappiano una bella fetta di iscritti e dirigenti PD. Sappiano, cioè, che il loro ‘contenitore’ contiene di tutto meno quel che serve, ossia: cultura politica, classe dirigente affidabile, infrastruttura organizzativa, visione generale, senso della prospettiva storica, valori condivisi. Di tutto ciò non c’è nulla, il PD è uno spazio liscio, calpestato da individui in competizione, sgranati, molecolarmente sparsi, sempre più incattiviti. Uniti soltanto da una parola d’ordine: ‘vincere’. Da una prospettiva: comandare. Da un senso del potere sopraffino, spavaldo, prepotente. Punto.
Perciò chiedo a iscritti e dirigenti che sanno di essere imbarcati su una nave che non ha rotta, se non quella sempre più incerta di ‘vincere’: ma che ci fate ancora là dentro? Nessuno vi chiede di diventare pericolosi estremisti cheguevariani o di fare le barricate, ma di continuare una linea di sinistra storica, popolare, di uguaglianza e di riscatto sociale fuori dal PD, dentro un’altra cosa, che oggi è piccola e magari domani diventerebbe di sicuro più grande. Solo questo chiedo. Per il resto sentitevi liberi di pensare allo scranno, alla vittoria, alle magnifiche sorti, al grande partito, al ‘nuovo’, ma-anche di rodervi il fegato dietro a Renzi.