Il Partito d’Aula e il salotto damascato del potere

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 20 giugno 2016

Dopo il primo turno delle amministrative, Renzi aveva immediatamente mollato Verdini e i suoi, dicendo che l’accordo con lui e il conseguente Partito della Nazione erano soltanto un’invenzione dei gufi. E che tutto si riduceva, invece, al “Partito d’Aula” buono per far passare i provvedimenti a colpi di fiducia. Trasformismo, insomma, nella migliore tradizione italiana. Si trattava evidentemente di una frenata opportunistica, si mollava zavorra in vista della pessima aria che tirava e dei ballottaggi incipienti. In una cosa però Renzi aveva assolutamente ragione. Il Partito d’Aula esisteva, come no, anzi esiste. Ed era (è) quel luogo della classe dirigente e delle istituzioni dove individui, clan, ideologie, identità culturali distinte e ristrette fanno massa, tentando di controllare, così e dall’alto, i fermenti del Paese in una sorta di rivoluzione passiva permanente. Un’unità di ceto politico, vertici istituzionali e salotti buoni della finanza e dell’economia per mettere il coperchio alla crisi e tentare di governare i mille rivoli della questione sociale italiana. Una soluzione ‘smart’, verticistica, sbrigativa che punta tutto sulla disintermediazione, che non è solo un modo per togliere mediazioni e accelerare iter, ma è, appunto, la riduzione della politica e del governo a rapide decisioni prese in salotto e comunicate via slides al popolo, previa ratifica parlamentare a cura del Partito d’Aula.

La democrazia non si svuota soltanto con il premio maggioritario che regala il governo anche a un partito del 20% quando vota appena il 60%. Non si svuota solo infarcendo il Parlamento di amici degli amici. Né solo combinando questi due aspetti in termini micidiali. No. È già sufficiente, per questo, assumere decisioni in modo informale in un salotto buono, affidarle al Partito d’Aula e comunicarle quindi a colpi di annunci tv e spacconate, riducendo la partecipazione a zero. La democrazia di svuota e si affloscia quando le politiche pubbliche sono cibi precotti, solo da mettere nel forno a microonde. Si svuota quando cacci via un Sindaco e poi pensi di vincere le elezioni confidando nel salotto di cui sopra. Quando il Partito d’Aula diventa tutto ciò che conta, e il resto si riduce a primarie ‘aperte’ anche (e soprattutto) ai tuoi avversari. Oggi è evidente che il PD è solo il Partito d’Aula, che oltre non c’è più nulla, se non volontari che si fanno i selfie davanti ai banchetti deserti, o arrostiscono salsicce alle ex Feste dell’Unità. L’illusione del Nazareno è che l’Aula governata militarmente sia la soluzione, che i nominati siano davvero una eccellente surroga della rappresentanza sociale e istituzionale, che le istituzioni siano solo ‘balconi’ politici da cui arringare le folle in streaming. Un equivoco così colossale che, alla fine, sta denudando il Re. Senza i vestiti degli annunci, degli hashtag e delle spacconate, si vede benissimo che sotto c’è poco, solo la manovra di palazzo, un drink e quattro olivette degustate in un salotto damascato, assieme ai potenti, dove si prendono ordini che l’Aula dovrà ratificare in modo molto, ma molto smart, sennò quelli si arrabbiano pure. Mentre il paese resta fuori dai giochi, senza rappresentanza, ma pronto alle sue rivincite. Puntuali e implacabili.

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