Partiti o imprese? Rappresentanza o vittoria? Testimonial o leadership? Forza politica o forza sui mercati? Scambio o uso?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti

A forza di dire che in politica si deve vincere, che chi perde è uno sfigato e non merita nemmeno di esistere, abbiamo assegnato alla politica, in fondo, le stesse regole dell’economia, della borsa, del mercato finanziario. Del tutto in linea con il mondo che pure vorremmo cambiare da cima a fondo. Un’azienda che manca i propri obiettivi di impresa, in base a qualche trimestrale, difatti, vede immediatamente calare il proprio valore in borsa, determinando un crollo delle sue azioni e una fuga precipitosa di investitori e di clienti. Non solo. Anche se centrasse quegli obiettivi, o quasi, una campagna stampa ben congegnata, magari sostenuta dai concorrenti, produrrebbe lo stesso effetto di disvalore. In nessuno dei due casi si discute della qualità del prodotto, del suo essere o meno fuori mercato ma non per questo inutile. Il valore è soprattutto legato ai movimenti speculativi, alle circolazioni di mercato, agli effetti di marketing, piuttosto che all’impegno, al lavoro, alla bontà delle soluzioni, ai programmi, ai progetti, alle difficoltà insite nella fase.

I partiti, o quel che ne resta, non sono più quelle organizzazioni che presentano programmi e rappresentano settori sociali, ma aziende che devono approvare trimestrali in attivo, sennò perdono altro valore, sennò sono abbandonati (almeno nei sondaggi), sennò sono subissati dai competitors. Le elezioni non sono più un’occasione per misurare forza e produrre rappresentanza, ma vedono in campo ‘giocatori’, che si battono per la vittoria adoperando una logica e strumenti del tutto simili a quelli delle imprese: marketing, sondaggi di mercato, comunicazione pubblicitaria, analisi dei mercati. I partiti non occupano più spazi “naturali” di rappresentanza, ma si “riposizionano” (termine tipico dell’advertising) anche in territori non loro, anzi tanto più. Ho in mente le parole di Renzi, che si schermisce del fatto che la sinistra voglia fare la sinistra, mentre ci sono praterie tra i moderati. E se le praterie fossero tra i nazisti, che si fa? Sieg Heil?

Stretta in questo meccanismo che lei stessa per prima ha introiettato (compresa quella radicale), la sinistra sta morendo. Perdiamo di vista il sociale, perché lo intendiamo come se fosse un complesso articolato di consumatori. Perdiamo le elezioni perché per primi le intendiamo come una competizione di mercato. Perdiamo referenti, perché ci “riposizioniamo” costantemente. Dovremmo interpretare i confronti elettorali non in termini di percentuali mancanti o meno, ma in termini di rappresentanza conseguita, agendo in suo nome, sulla base dei rapporti di forza stabiliti. Certo il maggioritario non aiuta, essere ancella della comunicazione aiuta ancor meno la politica, tanto più l’idea che la leadership sia parificabile alla funzione del “testimonial” di un prodotto. Meglio sarebbe il sistema proporzionale: in questo caso davvero la forma sarebbe sostanza. Meglio sarebbe fare politica senza scimmiottare l’economia. Meglio sarebbe avere partiti che non fossero imprese ‘contenitori’ di azionisti sparsi, soggetti a OPA espresse da forze ostili. Ma oggi è oggi. Questa è la cosa. Da qui si deve comunque ripartire per cambiare tutto: la forma della sinistra, le regole elettorali, la concezione stessa della leadership, e per prima la logica che accompagna le nostre azioni e i nostri pensieri. Forse più del valore di scambio, in politica conta il valore d’uso. Non le relazioni in astratto, ma l’umanità effettiva.

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