Il paradosso ri-costituente e il doping politico

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini  15 ottobre 2016

Le bufale ideologiche di Fassino, Parisi, Mancina, Violante e altra compagnia di giro….

Siamo al momento delle ricostruzioni storiche ad usum delphini.

Una delle leggende più propagandate è quella che fa risalire l’attuale ‘riforma’ costituzionale a una linea di lunga durata presente nello stesso Pci. Per Fassino ad esempio tutto era già nel programma del ’76. E cita ad esempio l’abolizione delle Province. E’ tipico delle mistificazioni prendere singoli elementi (peraltro controversi) restituendoli all’attualità avulsi dal loro contesto. Al di là delle diverse proposte immesse nella discussione non c’è dubbio infatti che tutta la strategia istituzionale del Pci, come confermato, ex negativo, da tutti i suoi avversari, è sempre stata improntata all’allargamento delle basi della rappresentanza e alla centralità del parlamento e delle assemblee elettive. Nei deliberati di allora, al di là delle proposte avanzate, non c’è alcuna traccia, anche minima, che rinvii alla tematica della ‘governabilità’ e dell’efficientismo decisionista, men che meno nelle forme oggi propagandate dal Violante. E la stessa idea di soppressione delle province, denunciate come una derivazione prefettizia (un pallino di Barbera) e surrogate nella pratica dell’Emilia Romagna con la fugace e fallimentare esperienza dei Comprensori, era contestuale alla piena attuazione della riforma regionalista, cioè all’espansione delle basi rappresentative e del pluralismo decisionale. La stessa strategia del ‘compromesso storico’ fu concepita come compimento del disegno unitario costituzionale, mentre il rafforzamento delle assemblee elettive doveva assecondare il più vasto disegno di integrazione delle masse nello Stato. Il Pci fu sempre tenacemente proporzionalista e l’idea craxiana della ‘grande riforma’ fu combattuta proprio perchè tutta all’insegna della governabilità e del decisionismo dell’esecutivo. I sedicenti modernizzatori, critici della ‘forma-partito’ e della mediazione politica affidata al ‘parlamentarismo’ erano ben consapevoli della cultura istituzionale del Pci, e per queste ragioni la presero di mira. Si può dire, se si vuole, che tutto ciò fu un limite del comunismo italiano, ma fare della cultura istituzionale del Pci un antesignano della politica istituzionale del partito della nazione (come di Togliatti un anticipatore di Renzi) è un clamoroso falso storico.

Ma un falso, o un quasi falso, anche l’uso del programmismo ulivista, quale rievocato da Parisi (l’uomo che si presentò a Torino dopo aver fondato l’Asinello ingiungendo ai Ds di ‘sciogliersi’). Data la fase storica l’Ulivo si è mosso alternativamente su due registri: la difesa della costituzione e la sua modernizzazione. In entrambi i casi avendo davanti il problema di una destra aliena e animata da intenti de-costituzionali. La bicamerale di D’Alema, lanciata con l’Ulivo al governo, era contestuale al tentativo di attrarre la destra, con le riforme, nell’alveo della legittimazione costituzionale. Quando all’opposizione l’Ulivo si è posto a difesa della Costituzione vigente, arrivando a votare No al referendum sulla riforma Berlusconi (analoga all’attuale, se non meno confusionaria). La stessa nascita del Pd è avvenuta nel segno di una bivalenza di fondo: la ‘modenizzazione neo-liberista’, ma anche l’incontro fra le culture politiche della Costituente, tanto da avvalorare l’idea di poter essere, di fronte alla destra, il partito dell’intransigenza costituzionale. Quello a cui stiamo assistendo, perciò, non è, come nell’renismo veltroniano e nella salace revanche di Parisi e dei prodiani radicali, il compimento dell’Ulivo, bensì l’esplodere, senza più alcuna mediazione, della contraddizione insita nel Pd. Il Partito della nazione si incunea fra le rovine della destra ed è fronteggiato, da sinistra e dal basso, ovvero ‘da fuori’, da una nuova formazione anti-cartello (il M5S). Il Pdr non è il Pd, ma il frutto evolutivo del cartello di potere neo-centrista. Del resto questo fu l’Ulivo per molti orfani della Dc, un lungo giro per poter tornare a casa.

Tra le cose più terra terra, infine, la rivendicata bontà della riforma elettorale come nei discorsi (valga per tutti) della Mancina. Tornare indietro dall’Italicum significa per costoro essere obbligati alla mediazione e al compromesso. E non essendoci più partiti degni del nome, cioè capaci di una radicata rappresentatività sociale, il compromesso è null’altro che un deprecabile ‘inciucio’. Probabile, ma se i partiti soffrono di legittimità perchè dovrebbero riacquistarla esercitando il potere in solitudine anzichè in compagnia ? Ciò che si rivendica, alla fine, è null’altro che la preferibilità del monopolio, guadagnato con i sistemi delle ope finanziarie e dei raiders di borsa, all’oligopolio. Ma non si venga a spacciare questa scelta come un esempio di ‘democrazia decidente’, e men che meno come roba di ‘sinistra modernizzatrice’.

Alla fin fine, in materia, restano due constatazioni fattuali.
Primo. Il doppio turno è consustanziale a un modello presidenziale (come è in effetti nei comuni). Il grave del combinato disposto delle due riforme è proprio l’approdo a un presidenzialismo surrettizio, cioè costruito sulla rinuncia alla legittimazione e sull’assenza di controlli (gli Usa, non per caso, sono un caso di bicameralismo perfetto e nessuno lo addita come un’anomalia….).
Il secondo è quello che potremmo definire il ‘paradosso ri-costituente’. I ‘riformatori’ rivendicano che la riforma stessa spingerà alla rilegittimazione i soggetti politici (e le classi politiche) che oggi ne sono privi. Una bufala. Perchè i soggetti costitutenti con le costituzioni si costituiscono come tali, non per cambiarsi, ma per garantirsi. Se ci sarà un cambiamento sarà null’altro che nell’istituzionalizzazione della realtà di fatto. Si potrebbe dire un ‘riciclaggio’, come avviene col danaro sporco dell’economia criminale che si legalizza sotto falso nome. La nuova Costituzione alla fine non è che il vestito tagliato per sè dal costituendo partito della nazione. Null’altro che un cartello di potere senza legittimazione democratica. Doping politico.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.