Fonte: Libero.it
Url fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11837038/pansa-renzi-roma-marino-orfini.html
di Giampaolo Pansa 11 ottobre 2015
Qualcuno ricorderà le Sorelle Bandiera. Erano tre uomini vestiti da donna che Renzo Arbore aveva lanciato in un suo straordinario programma televisivo in onda sulla Rai. La loro apparizione suscitò proteste, anatemi, critiche furiose. Ma Arbore è Arbore e se ne infischiò. Le sorelle Bandiera, un messicano, un australiano e un italiano, spopolarono. Cantavano “Fatti più in là, così vicino mi fai turbar!” e mandarono in delirio milioni di telespettatori.
Molti, a cominciare dal sottoscritto, ritenevano che le Sorelle Bandiera fossero morte e sepolte. Non era così. Il modello si è diffuso e non soltanto nel privato di tanti signori che vogliono comportarsi da signore. Il loro habitat naturale è diventato il mondo politico italiano. Luoghi maschili per eccellenza, i partiti abbondano di travestiti. Piccoli ras che dicono una cosa e ne fanno un’ altra. Gente che non è mai quella che appare.
Nei giorni della Caporetto romana, un disastro fra tragedia e commedia, ne abbiamo visti all’opera tre. Sono le nuove Sorelle Bandiera. Ignazio Marino, il sindaco costretto a dimettersi. Matteo Orfini, il presidente del Partito democratico nonché commissario del Pd nella capitale. E infine Matteo Renzi, premier e aspirante dittatore del futuro Partito della Nazione.
Marino è la sorella Bandiera più ingenua e, al tempo stesso, la più folle. Il barbuto Ignazio era diventato sindaco di Roma con un consenso importante: il 63 per cento dei voti. Era il 2013 e tutti ci domandammo in che modo un chirurgo esperto in trapianti avrebbe potuto risolvere, o almeno affrontare, il disastro sempre più pesante della capitale. Comunque qualcuno disse: “Vediamo che cosa succede, un miracolo può sempre avvenire”.
Il miracolo non si è visto. In compenso Marino ha svelato la sua vera natura. Quella di Cavallo Pazzo, un pellerossa solitario, destinato a infrangere le regole maniacali della politica italica. Perché pazzo?
Perché si illudeva di trasformare un gigantesco accampamento di disperati, orfani della buona politica, in una metropoli pulita e ordinata, degna di essere la capitale italiana. Il dottor Ignazio non ce l’ha fatta. Ma in sua difesa bisogna dire che nessun altro ci sarebbe riuscito, dal momento che Roma è un rebus irrisolvibile per chiunque. Va accettata così com’è e, soprattutto, così come diventerà negli anni a venire. Il mio non è fatalismo, bensì semplice buonsenso realista.
In compenso, Ignazio si è mutato in un personaggio più comico che tragico. Confesso che a me sta simpatico. Quando lo vedevo in tivù lasciare il Campidoglio in bicicletta e dirigersi chissà dove, in mezzo a un traffico più pericoloso di una giungla equatoriale, l’istinto era di battergli le mani. E gridargli: «Vai, Marino, vai! Scappa dai killer che vogliono farti la pelle!».
Poi i cacciatori di sindaci hanno avuto la meglio. Giovedì 8 ottobre 2015, Ignazio è stato costretto a dimettersi. Tuttavia il Bestiario non crede che la sua vicenda sia conclusa. Di certo lui non mancherà di vendicarsi. Ha già fatto sapere che andrà di tivù in tivù, squadernerà le sueagende colorate, leggerà i nomi di chi gli ha chiesto favori, sputtanerà chi ha voluto eliminarlo, obbligherà il premier Renzi a stare sulle spine per il timore di qualche freccia avvelenata. Insomma mostrerà all’ Italia che Cavallo Pazzo sarà pure un indiano senza tribù, ma è capace di morire in piedi.
La sorella Bandiera più sciocca è Orfini. Ha soltanto 41 anni, eppure è come se ne avesse il doppio. È cresciuto nel vecchio Pci, spasimando per il compagno Palmiro Togliatti. Si racconta che, eletto alla Camera, chiese di avere lo stesso posto del Migliore, quello numero 26, e rimase malissimo quando gli risposero che era impossibile. Poi si appassionò a D’Alema e divenne uno dei suoi boy. Quindi da Max passò a Renzi. Si era inventato una corrente sinistrorsa, i Giovani Turchi, che però si sciolse come un pupazzo di neve al sole renzista.
Il premier segretario lo nominò presidente del Pd, incarico che conta meno del due di picche. Poi gli affidò una missione suicida: guidare il partito nella capitale e diventare il controllore di Marino. Orfini obbedì. Gli esperti sostengono che, nel sorvegliare e puntellare Ignazio, contava di strappare più potere nel partito. Non si rendeva conto che nessuno avrebbe saputo imbrigliare Cavallo Pazzo.
Quando è esplosa la questione degli scontrini di qualche cena, Renzi l’ha messo di fronte a un’alternativa diabolica: “O cacci Marino dal Campidoglio o io caccio te dal partito”. Che cosa sia accaduto il pomeriggio dell’8 ottobre nell’ ufficio di Marino, il povero Orfini non lo racconterà mai. Forse lo rivelerà Ignazio, il giorno che mostrerà in tivù le sue misteriose agende.
Rimane in piedi la Sorella Bandiera più superba: Matteo Renzi. Il travestito fiorentino è un mago nel cantare “Fatti più in là”. Ma non si rivolge mai a se stesso, bensì usa il motivetto come un pugnale per cacciare chi lo disturba. Non ha voluto occuparsi del Campidoglio, un inferno che non lo riguardava.
L’unica metropoli che gli interessi è Firenze. E prima o poi trasferirà di nuovo la capitale nella sua città. Nei confronti di Ignazio si è comportato come si era condotto con l’arrivo sulle coste italiane di migliaia di migranti. Ha chiuso gli occhi e alzato le spalle. Quando si è reso conto che il Campidoglio stava per cadere anche sulla propria zucca, ha ordinato la fucilazione del sindaco. E come accade in tutti i regimi che vedono un solo uomo al comando, per non udire il crepitio dei fucili ha lasciato Roma. E si è precipitato a Modena a omaggiare un alleato altrettanto dispotico, il Marchionne, e i banchieri che lo sostengono.
Ma la Sorella Bandiera spocchiosa ha sbagliato i conti. La rovina del Campidoglio, senza neppure l’intervento del Califfato nero, ha distrutto anche il mito fondativo del potere renziano: l’invincibilità. Il giovedì maledetto di Ignazio ha cambiato il profilo di Matteo I, presidente e segretario. Oggi il Super Renzi è soltanto un politico come tanti della Casta. I riflettori del suo storytelling, la narrazione renzista, hanno cambiato direzione. La scena diventa buia, con il Vaticano che urla: “Per il Giubileo ci lasciate soltanto un cumulo di macerie!”.
La bicicletta del fuggiasco Ignazio, armato di agende e deciso a vendicarsi, fa dimenticare la riforma del Senato e la tagliola elettorale dell’ Italicum.
Obbliga gli italiani che seguono ancora la vicenda politica a volgere lo sguardo altrove. Sulla lunga guerra che sta già scoppiando per dare un nuovo sindaco alla capitale, una scelta che peserà sulle elezioni amministrative di primavera.
Il Bestiario prevede un futuro acido per la Sorella Bandiera di Palazzo Chigi. I danni del mito incrinato si vedranno presto. Renzi non potrà più vantarsi di essere il leader più forte in Europa. Anche l’ Angela Merkel, ferita dalla tragedia della Volkswagen, sarà in grado di replicargli: “Caro ragazzo, pensa alla tua capitale che è ridotta peggio delle mie automobili!”.
Chi ha i capelli bianchi rammenta una delle prime inchieste del vecchio Espresso, condotta dal grande Manlio Cancogni, giornalista e romanziere scomparso da poco all’ età di 99 anni. Il titolo recitava: “Capitale corrotta, nazione infetta”.
Era il 1955, ma sembra il ritratto dell’ Italia di oggi.