Fonte: Libero
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di Giampaolo Pansa 07 aprile 2015
Davanti all’ultimo massacro dei cristiani in Kenya, 148 uccisi con un colpo alla nuca o decapitati, sembra futile occuparsi ancora una volta di Matteo Renzi. Purtroppo è questo il destino del Bestiario: raccontare i fatti e i misfatti della politica italiana e dei suoi attori. Dunque lo farà anche oggi, giorno di Pasqua, partendo da una domanda: che cosa contiene l’uovo che Matteo Renzi, il nostro premier, consegnerà agli italiani?
Confesso che comincio a essere stanco di occuparmi di lui. Sono andato a controllare l’archivio dei miei articoli e ho scoperto che scrivo di Renzi da quasi due anni, ossia da quando doveva ancora vincere le primarie del Partito democratico. E ho constatato che non mi è mai piaciuto. A cominciare dalla faccia. Un viso da bamboccio paffuto, qualche neo nel punto giusto, capelli nerissimi e senza un filo di grigio. Anche la voce è quasi da adolescente. Abbastanza stridula, con alti e bassi che sorprendono sempre. Se per caso sembra svanire, dopo una concione di un’ora e passa, la voce riprende quota e manda al tappeto chi lo ascolta. Nella Prima e nella Seconda repubblica, nessun presidente del Consiglio aveva mai dimostrato la resistenza fisica di Renzi nel comiziare. Neppure Amintore Fanfani che sembrava insuperabile. Me ne resi conto nel 1974, per averlo seguito in qualche tappa della sua battaglia contro il divorzio. Annichiliva le folle parlando a braccio per un tempo infinito. Dialogava con il pubblico, un vezzo che Renzi non ha ancora scoperto. In meno di due mesi tenne duecentodieci comizi.
Qualche volta mi capita di pensare che il giovane Matteo non sia figlioccio di Silvio Berlusconi, bensì di un altro toscano, il Fanfascista aretino. E abbia preso da Amintore una tratto che ha saputo accentuare alla massima potenza: il cattivo carattere. Questo sarà il primo dei tre pilastri del renzismo che mi limiterò a ricordare nel Bestiario pasquale. Il viso da bamboccio di Renzi non deve trarre in inganno. Non siamo di fronte a un piacione, tutt’altro. Bensì a un premier duro, cattivo, arrogante, vendicativo, una vera carogna. Non ha per niente lo spirito generoso dei boy scout, sodalizio nel quale giura di essere cresciuto. Non sopporta di essere contraddetto e meno che mai combattuto, come accade in tutte le democrazie. Foderato di un’autostima d’acciaio, disprezza chi non è d’accordo con lui.
Volete una prova di questo vezzo esecrabile? Renzi è il primo capo di un governo in teoria liberale che insulta quanti non si inchinano al suo passaggio. Li chiama gufi, rosiconi, menagramo, sabotatori, nemici dell’Italia. Se continuerà su questa strada, ci troveremo alle prese con un lessico da caporale. La deriva autoritaria che allarma tanta gente traspare già dal linguaggio. Il sintomo più chiaro sta nelle quattro sillabe di un verbo che ha fatto suo: rottamare. Un termine spietato, se rivolto a essere umani. Sa di razzismo e, perché no?, di soluzione finale.
Renzi l’ha adoperato contro la nomenklatura del Partito democratico, zeppa di capi, sottocapi e funzionari cresciuti nel Pci o nella Dc, tutti avviati alla terza età. Un complesso politico-umano che siamo soliti definire la Casta. Se Berlusconi o Fanfani possono essere i padri putativi di Matteo, di certo la Casta ne è la madre. I leader di una nazione non nascono mai a caso. C’è sempre qualche mammastra che li partorisce. Il fallimento della classe dirigente italiana, quella politica, economica e culturale, ha generato il suo piccolo mostro.
Il neonato Matteo è cresciuto in fretta. Nel volgere di due anni scarsi è diventato un gigante. Maurizio Crozza potrà pure sfotterlo nel «Paese delle meraviglie». Renzi se ne frega, o forse ne è felice, poiché la considera la prova del suo trionfo. Secondo un tragitto deciso quando era ancora sindaco di Firenze. Nell’agosto del 2013 aveva spiegato ad Alberto Gentili del Messaggero la propria linea d’attacco: «Il modello sarà quello di Tony Blair. Lui prima conquistò il Partito laburista inglese, poi lo cambiò da cima a fondo, svecchiandolo. Infine andò al governo. Ecco questo sarà il mio percorso».
Nulla di segreto, stava tutto scritto e reso pubblico. Eppure la Casta ha chiuso gli occhi di fronte a un Gengis Khan fiorentino pronto a sterminarla. La sua passività è imperdonabile. La Casta ha offerto il collo a chi dichiarava di volerla decapitare. Per primi si sono presentati al boia i capi del Partito democratico. Guardate come è ridotta la ditta di Bersani & C. Poi sono stati accoppati i vertici di Forza Italia. Il cavalier Berlusconi si riteneva il più furbo del pianeta. Adesso stenta a guidare un baraccone dove tutti si sbranano. È inutile stupirsi se tanti politici di seconda o terza fila si stiano inginocchiando a Renzi.
Il suo Partito della Nazione non ha bisogno di essere fondato. Sta già qui. E si prepara a vincere la battaglia delle battaglie: il varo dell’Italicum, la legge elettorale maggioritaria. Questa è l’ultima chiamata alle armi per chi non vuole la nascita di un regime soffice nella forma, ma spietato nella sostanza. Renzi vuole disporre di un Parlamento pronto ad obbedirgli. Con una conseguenza fatale: niente vere riforme, fonte di grane infinite. Bensì un governo dalla mano dura, senza riguardi per nessuno, almeno in casa nostra.
Qualche giorno fa il Wall Street Journal, un media di prestigio internazionale, ha scritto: «È l’Italia, non la Grecia, il cuore della questione dell’euro. Se la crisi della Grecia è acuta, allora l’Italia ne ha una forma cronica. È cresciuta pochissimo dal suo ingresso nell’euro, è un elefante nella stanza».
Se ne preoccupa, il premier? Difficile saperlo. Lui sembra dedito a una sola pratica: il rafforzamento continuo del proprio potere. Tutti i capi di governo provvedono a dotarsi di una squadra di amici fidati. Una struttura che, nella versione polemica, diventa il cerchio magico. Ma nessuno, almeno in Italia, ha mai allargato a dismisura la corte dei serventi. Renzi ha iniziato a formarla prima di arrivare a Palazzo Chigi. I nuovi ingressi sono continui. E il Cerchio Gigliato ha raggiunto dimensioni strabilianti. Ne aveva già scritto un anno fa il giornalista che più di tutti conosce Matteo. È David Allegranti, un cronista di 31 anni, redattore del supplemento fiorentino del Corriere della sera. Il suo libro, «The Boy. Matteo Renzi e il cambiamento dell’Italia» era stato pubblicato da Marsilio nel maggio 2014. Adesso, l’autore ha aggiornato le sue tavole in una paginata del Foglio, uscita il 2 aprile.
Il titolo recita: «Il potere di Firenze. Ministeri. Segreterie. Partecipate. Istituzioni. Consulenti. E poi il caso Delrio. La trasformazione di Palazzo Chigi in Palazzo Vecchio. Geografia smaliziata dei fiorentini che contano nell’èra Renzi». È una lettura che stordisce. Conferma che il Partito Unico o della Nazione ha già il suo gruppo di comando. Tuttavia, l’elenco di Allegranti non contiene i nomi di chi è stato cacciato dagli incarichi senza colpa, per far posto ai prediletti del capo. Sotto questo profilo, Renzi deve stare attento. Aldo Moro un giorno disse: «Temete l’ira dei calmi». Quando il Super Premier inciamperà in qualche ostacolo, i tanti che si vogliono vendicare lo sbraneranno. Quanto all’uovo pasquale di Matteo, contiene una sola sorpresa: il nulla. Dove può accadere di tutto.
Giampaolo Pansa