di Livio Ghersi 28 maggio 2019
Nell’ultima puntata della Serie “Il trono di spade”, il personaggio del “Folletto” sostiene che per rendere forte e coeso un Regno non sono sufficienti le armate (la potenza militare), né le ricchezze (la potenza del denaro). L’elemento in più, che fa la differenza, è la circostanza che le persone abbiano una “Storia” comune in cui si riconoscano e che faccia sentire loro di avere uno stesso destino. Il personaggio di “Bran lo spezzato” viene così eletto nuovo re dai lords, proprio in quanto conoscitore, testimone e custode di una “Storia” comune.
Anche il genere “fantasy” può essere una via per aiutare le persone a riflettere, posto che i saggi di filosofia, di politica, di economia, di sociologia, oggi non sono certamente popolari.
La “cultura” in genere viene considerata da molti un bene superfluo: coltivabile soltanto da chi non sia costretto ad una lotta quotidiana per soddisfare bisogni materiali essenziali. Così molti non soltanto non si vergognano più della propria ignoranza, ma la ostentano con fierezza: hanno avuto e continuano ad avere cose molto più importanti da fare che perdere tempo leggendo libri.
Il “primum vivere” è la regola; il “deinde philosophari” l’eccezione. Obietterete che c’è un periodo della vita, la cosiddetta “età scolare”, in cui a tutti i ragazzi viene garantita una formazione di base. Il problema è che nessuno sembra più credere veramente al valore formativo delle scuole. I contenuti dei programmi scolastici sono continuamente contestati e messi in discussione. L’eterna domanda, che ricorre come un ritornello, è: a che mi serve? Che mi serve studiare la geografia? Infatti, è stata praticamente eliminata dall’insegnamento. Che mi serve studiare la storia? Infatti, sempre meno ore sono dedicate a questa materia. Poi fortunate trasmissioni televisive, come L’eredità, attestano impietosamente che tra i concorrenti spesso non si ha chiara consapevolezza della differenza che intercorre, poniamo, tra “Rinascimento” e “Risorgimento”. Come si può continuare a dare per scontato, dunque, che oggi, agli inizi del ventunesimo secolo, abbia ancora senso parlare di “identità italiana”?
Se c’è incertezza sulle caratteristiche dell’identità italiana, figuriamoci quale possa essere la rilevanza attribuita ad una non meglio definita “identità europea”. La formula “Stati Uniti d’Europa” non è stata inventata a Ventotene dai confinati antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, come i più erroneamente ritengono quando si affronta l’argomento del federalismo europeo. Le riflessioni su questo tema sono ben più antiche e si svilupparono con particolare intensità subito dopo la conclusione della prima guerra mondiale (1918). Una catastrofe di quelle dimensioni, che cambiò davvero e per sempre il volto dell’Europa, non poteva non stimolare le coscienze ad immaginare soluzioni diverse che superassero la logica degli Stati nazionali. Per restare ai confinati di Ventotene, questi trassero argomenti da Luigi Einaudi e lo stesso Einaudi fornì loro libri (di altri Autori, anche non italiani) da leggere e meditare.
Prima dell’appuntamento elettorale del 26 maggio 2019, si è cercato di sostenere, nel discorso pubblico, l’importanza di esprimere, con il proprio voto, una scelta netta a favore dell’Unione Europea. Unione che non potrà essere consolidata e migliorata se, intanto, non se ne garantiscono l’esistenza e la continuità.
L’informazione televisiva della RAI, asservita, come sempre, ai partiti di governo, ha espresso il peggio di sé per allontanare i cittadini dall’appuntamento elettorale. Tutte le liste concorrenti sono state ospitate, tre per volta, in “tribune” in cui gli oratori di ogni lista, uno a fianco dell’altro, avevano un minuto a disposizione per rispondere alla domanda dell’intervistatore. L’intervistatore, a sua volta, era libero di scegliere il contenuto delle domande, senza tenere conto prioritariamente del programma elettorale di ciascuna lista rivolto alle elezioni europee, ma facendo riferimento a questioni della politica nazionale ritenute d’attualità. Ricordiamo Tribune elettorali RAI con ben altre caratteristiche negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. In altre parole, non è detto che il servizio pubblico radiotelevisivo debba necessariamente scadere agli attuali livelli di disinformazione.
Il Direttore de “La7” ha intervistato i leader delle sette liste più accreditate, facendoli parlare uno per volta per almeno venticinque minuti ciascuno. Perché la RAI non può fare lo stesso? Dipende dai partiti di governo e questi non vogliono che lo faccia. Nel frattempo, durante il mese precedente le elezioni, quasi tutto lo spazio dei telegiornali dedicato alla politica era riservato ai contrasti, effettivi o presunti, fra Movimento 5 Stelle e Lega. Così il messaggio subliminale per gli elettori era che soltanto questi due partiti contassero.
Dopo il voto, il primo dato su cui riflettere è che nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno votato, per il rinnovo della Camera dei deputati, il 72,94 % degli aventi diritto. Appena un anno dopo, nelle elezioni europee, la cifra dei votanti è scesa alla percentuale del 56,09. Stiamo parlando di milioni di persone che si sono espresse nel primo caso e che hanno disertato il voto nel secondo caso.
La lista che ho votato, “Più Europa – Italia in comune”, è stata esclusa dalla rappresentanza perché non ha superato la soglia di sbarramento. Nel 2018 “Più Europa” aveva ottenuto una percentuale apparentemente più bassa, il 2,56 %, ma i votanti effettivi erano stati 841.468. Essendo drasticamente diminuito il numero dei votanti, nelle elezioni europee la lista ha ottenuto il 3,11 %, ma i voti effettivi sono stati soltanto 833.443.
La lista per le elezioni europee è stata costruita in alleanza con altre formazioni politiche come “Italia in comune” di Federico Pizzarotti, o i socialisti del PSI. Gli alleati hanno dato un contributo effettivo come attestano i voti riportati dai candidati da loro espressi. Ciò prova che una parte consistente di quanti avevano votato “Più Europa” nel 2018 questa volta non hanno confermato il voto. Della Vedova, Bonino e Tabacci dovrebbero chiedersi perché.
Si può poi valutare l’andamento del voto nelle cinque circoscrizioni elettorali. La lista ha ottenuto le seguenti percentuali (riportate in ordine decrescente): Nord-Est = 3,45 %; Nord-Ovest = 3,15 %; Sud = 3,14 %; Centro = 2,99 %; Isole = 1,94 %. Forse si è commesso qualche errore nella composizione delle liste, nel senso che queste, in qualche caso, non erano sufficientemente competitive?
Considero il caso della Circoscrizione Isole, che conosco meglio. I votanti in Sicilia sono stati soltanto il 37,51 % degli aventi diritto. Ciò significa che due elettori siciliani su tre hanno pensato bene di restare a casa. La lista di “Più Europa” è stata data in appalto ad un giovane politico locale, il consigliere comunale di Palermo Fabrizio Ferrandelli, già candidato Sindaco nelle ultime elezioni amministrative. Ferrandelli ha dimostrato di avere una propria base elettorale. Il problema è che per fare una lista competitiva, in una competizione elettorale impegnativa come quella per il rinnovo del Parlamento Europeo, sarebbero serviti almeno altri quattro candidati in grado di raccogliere cifre significative di consenso. Si intende, perché autorevoli e politicamente credibili, non perché custodi di un piccolo bacino di voto clientelare.
La Lista di “Più Europa”, secondo me meritoriamente, ha deciso di collegarsi alla famiglia politica dell’ALDE, ossia dei Liberali Democratici, nel Parlamento Europeo. Quando, nelle scorse settimane, ho cercato di interloquire con alcune note personalità del mondo liberale italiano per verificare se intendessero votare la lista, non ho sfondato una porta aperta. Possono delle persone che, nella loro storia personale, sono stato “altro” che liberali rappresentare credibilmente l’ALDE in Italia? In passato, anche “Italia dei Valori” di Antonio Di Pietro è stata associata all’ALDE. Qualcuno sosterrebbe, ad esempio, che l’attuale senatore del Movimento Cinque Stelle Elio Lannutti abbia qualcosa a che vedere con la cultura liberale perché in passato aderiva ad “Italia dei Valori”?
Anche “radicale” e “liberale” non sono sinonimi. Per me il liberalismo è una concezione della vita e della storia, una Weltanschauungcome direbbero i tedeschi. Se ci si riconosce in una impostazione generale, non pesa essere minoranza e votare per liste di minoranza. I radicali, secondo la lezione di Marco Pannella, rifuggono, invece, dalle concezioni generali e dalle ideologie; risolvono la lotta politica in un’azione volta a raggiungere pochi obiettivi precisi, di volta in volta individuati. Non importa cosa si era stati prima dell’azione per quell’obiettivo determinato. Non importa cosa si diventerà dopo. L’importante è ritrovarsi nell’azione ora. Impostazione non originale, che nella cultura politica italiana è stata propugnata soprattutto da Gaetano Salvemini e poi dal suo allievo Ernesto Rossi. Rossi faceva sempre appello alla concretezza, contro “l’erba trastulla ideologica”. Così Pannella poteva definirsi nello stesso tempo liberale, democratico, socialista, comunista, perché in fondo non dava alcun peso a queste etichette.
Se si aderisce ad una concezione generale si punta sull’educazione, si incoraggia a coltivare ideali, si studia la storia: insomma, si tende a far maturare un’identità e poi a consolidarla. Si vuole che anche lo strumento per l’azione politica, ossia il partito, sia concepito in questo modo: con una forte, precisa, identità ideale e tale da promuovere la crescita di nuovi soci ispirati dalla medesima appartenenza ideale.
Della Vedova, Bonino e Tabacci non avranno un grande futuro se intendono rappresentare la causa liberale in assenza di liberali in carne ed ossa.
C’è poi un problema urgente di linea politica. Insieme a tanti liberali italiani, dichiaratamente tali, mi sono impegnato a suo tempo contro il progetto di riforma della Costituzione voluto dall’allora Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi. Quel progetto era sbagliato nei suoi contenuti di merito, mediocre, scritto male. Il 4 dicembre 2016, il giorno del referendum costituzionale, per me resta una data importante, da festeggiare. Potessi ritornare indietro boccerei ancora, non una, ma mille volte quella riforma scriteriata. Bisogna avere chiara consapevolezza che il Movimento Cinque Stelle e la Lega hanno potuto affermarsi nel Paese per gli errori, non secondari, compiuti dal Partito Democratico.
Di conseguenza, apparire oggi come un alleato minore del Partito Democratico non ha alcuna capacità di attrazione nei confronti dell’opinione pubblica liberale, non esercita alcun appeal presso di questa. Considerate le caratteristiche della Lega e del Movimento 5 Stelle, sta nelle cose che ci possano essere convergenze ed alleanze con il PD. Purché sia chiaro a tutti che si mantiene sempre la propria autonomia critica e che si e capaci di dire dei “No” molto fermi, tutte le volte che occorra. La domanda che purtroppo sorge spontanea è se le liste di “Più Europa” siano state poco competitive appunto per non disturbare più di tanto i risultati elettorali del Partito Democratico.
Devo ricordare l’infelice caso della lista denominata “Scelta Europea” che, nelle elezioni europee del 25 maggio 2014 ottenne appena 197.942 voti (tra i quali, il mio), pari allo 0,72%? Quella lista era, teoricamente, sostenuta da Scelta Civica, la formazione politica fondata da Mario Monti. C’erano candidati espressi da Scelta Civica, tra i quali una donna ministro, ex Segretaria del partito. I maggiorenti ed i quadri di quel partito, tuttavia, preferirono votare e far votare il Partito Democratico; di lì a poco in tanti si sarebbero felicemente accasati nel PD.
Poiché su tutti questi punti non vedo chiarezza, finora mi sono ben guardato dall’iscrivermi a “Più Europa”. Se i dirigenti di questo partito sono interessati ad avere l’adesione non tanto mia, considerato che, anche per ragioni anagrafiche, sono poco interessato alla lotta politica contingente, quanto l’adesione di tante altre validissime persone di formazione liberale, pensino bene al da farsi.
Palermo, 28 maggio 2019