Ovadia: il centrosinistra è un ciclo finito

per Gabriella
Autore originale del testo: Giacomo Russo Spena
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intervista a Moni Ovadia di Giacomo Russo Spena, 8 giugno 2017

L’artista guarda con interesse l’appello di Tomaso Montanari e Anna Falcone per un nuovo soggetto politico, ma ammonisce: “Se la sinistra non cambia le pratiche, non potrà mai rinascere”. Come uscire dalla sindrome degli Arcobaleni? “Rispetto al passato, nessuno vuole l’alleanza con Renzi. È una buona premessa”. E invita i partiti a fare passi indietro: “Ci vogliono facce nuove e credibili”.


Obtorto collo
si è prestato alla politica candidandosi alle scorse europee con la lista L’Altra Europa con Tsipras: nel collegio Nord-Ovest ottenne quasi 34mila preferenze, non poche, poi la decisione di rispettare la parola data prima del voto e di abdicare per tornare al suo quotidiano lavoro. “Non sono adatto per le poltrone”, le sue parole in controtendenza in una politica con poca etica.

Da allora Moni Ovadia, artista e teatrante, è rimasto ai margini; segue con interesse, e disillusione, gli sviluppi a sinistra: “In teoria lo spazio politico tra il Pd e il M5S ci sarebbe, si potrebbe uscire dalla minorità ottenendo risultati persino nell’immediato futuro ma…”. E i ma sono molti. L’istinto tafazziano è dietro l’angolo, le coazioni a ripetere anche: “Se la sinistra non cambia le pratiche, non potrà mai rinascere”, dice.

Adesso Ovadia guarda con attenzione gli sviluppi dell’appello lanciato da Tomaso Montanari e Anna Falcone – i quali si sono dati appuntamento il 18 giugno a Roma per un primo incontro nazionale – con la speranza che “i valori riprendano il loro giusto posto mettendo in soffitta le solite, vecchie e perdenti prassi”.

Partiamo proprio dall’appello di Montanari e Falcone, cosa ne pensa?

L’appello dice cose sensate e tocca i punti dolenti della sinistra. Siamo alle solite: se non si esce dal tatticismo elettorale e non si entra in quello dei valori e dei programmi non si va da nessuna parte. Qui non si tratta di aggregare un ceto politico ma di aggregare un popolo di sinistra, che ancora esiste, intorno ad un unico soggetto che parli di temi come l’uguaglianza e la giustizia sociale. Spero che da questo appello nasca un processo innovativo che riparta dal tessuto sociale del Paese, dai movimenti, dalle associazioni, dai comitati territoriali, altrimenti…

Dopo gli Arcobaleni, le Rivoluzioni Civili e gli altri fallimenti, il popolo di sinistra è ormai disilluso, perché questa volta dovrebbe funzionare?

Come tutte le cose, possono funzionare. È diverso. Montanari e Falcone sono due personalità di alto profilo culturale/intellettuale. Devono riuscire nell’impresa di far risognare un popolo ormai stanco. Farlo nuovamente emozionare per qualcosa.

Ripeto, perché questa volta dovrebbe andare meglio che in passato?

Rispetto alle esperienze passate, almeno sulla collocazione sono tutti d’accordo: nessuna alleanza con Renzi. E già è una buona premessa, la stagione del centrosinistra è definitivamente morta. Il processo di corruzione del centrosinistra è stato portato a termine da Renzi: sono finite le illusioni. Vediamo la Francia con Melenchon, la sinistra o fa la sinistra o è destinata a morire.

In realtà ci sono Pisapia e Bersani che ancora credono nella creazione di un nuovo centrosinistra…

Andranno a fracassarsi. Quella strada è tracciata: Renzi ha spostato l’asse verso il centro. Non c’è possibilità per quel progetto, nasce morto. Col Pd renziano – nel momento in cui ha scelto il blairismo – non c’è possibilità di mediazione, troppe sono le differenze programmatiche e valoriali.

In passato ha definito Renzi un politico aggressivo e pericoloso. Conferma il suo giudizio?

Sicuramente non è un socialdemocratico. Ha rotto con quella tradizione. Da premier ha scelto di attaccare prima lo Statuto dei lavoratori, che in Italia ha un alto profilo anche simbolico, poi la Costituzione. E per fortuna la sua riforma è abortita. Come vogliamo definirlo uno così?

Come?

Beh, un uomo di centrodestra. Di certo, non ha nulla a che spartire con la sinistra.

Montanari e Falcone vogliono ripartire dal 4 dicembre e da quel popolo che ha detto NO alla riforma costituzionale di Renzi e Boschi. Su questo è in piena sintonia?

Le cose sarebbero semplici, in realtà. Il programma della sinistra già è scritto, è la Costituzione. Contiene tutti i principi basilari: l’uguaglianza, la dignità del lavoro, il rispetto dell’essere umano, l’antifascismo, la responsabilità sociale dell’impresa, la libertà di informazione. Basterebbe attuarla. E tutto questo che c’entra col Pd che invece mirava a rottamare i valori della nostra Carta e della sinistra socialdemocratica?

Da vecchio saggio, mi faccia passare il termine, quale consiglio darebbe a Montanari e Falcone in vista del 18 giugno?

Si deve evitare qualsiasi operazione che nasca dall’alto e dai ceti politici dei partiti.

Questo viene detto sempre…

Prima rimanevano solo parole, ora devono trovare il coraggio veramente per farlo. Non si devono far cannibalizzare dai partiti.

L’Altra Europa era riuscita a marginalizzare i partiti, poi si è comunque schiantata…

E’ una specie di tara. Non è una cattiva volontà politica: finisce sempre così perché non si è ancora trovato il modo di estirpare la malattia. Guardiamo all’Europa, pensiamo a Podemos e a Pablo Iglesias: lui si è imposto sullo scenario politico presentandosi come il “nuovo” e rompendo con gli schemi della vecchia politica. Era percepito come qualcosa di altro rispetto alla sinistra radicale. Non so se Montanari possa essere il nome giusto, di certo per la leadership ci vuole un giovane emergente con un profilo presentabile.

Questa volta i partiti faranno un passo indietro o assisteremo ai soliti litigi?

Chi in questi anni ha commesso sempre gli stessi errori, come una coazione a ripetere, rimanendo sempre con la stessa piccola percentuale, sotto al 5%, inchiodato in quel poco consenso elettorale, si dovrebbe mettere a servizio per altro. O qualcuno ha la forza di prendere la direzione di un movimento, un qualcuno che abbia una storia credibile agli occhi dei cittadini, oppure il progetto non ha nessun futuro. E’ facile.

Secondo lei, a sinistra si è diffuso il virus dell’attaccamento alla poltrona? Meglio, molti esponenti non accettano ruoli di secondo piano perché poi mirano a finire nuovamente in Parlamento?

No, è diverso: c’è un attaccamento più al ruolo che alla poltrona. Viviamo pur sempre nell’era del narcisismo. Dopo anni di militanza, molti dirigenti hanno paura di finire ai margini e di perdere una posizione privilegiata, vogliono comunque ricoprire un ruolo che dia loro visibilità e riconoscenza pubblica. Per fortuna, vedo anche eccezioni.

Chi? Ci faccia un nome?

Ultimamente chi apprezzo molto è Luca Casarini, uno che ha fatto un percorso interessante. Ora è iscritto a Sinistra Italiana e con grande umiltà si è messo in seconda o terza fila a servizio di una comunità che a Palermo, col sindaco Leoluca Orlando, sta governando bene la città. Fa la cosiddetta militanza di base. Altri dovrebbero imparare da lui e mettersi ai margini per dare spazio al nuovo che avanza.

 

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