di Toni Gaeta 02 novembre 2015
Oggi, dopo una lunga battaglia, condotta a favore delle donne, Bidhya Devi Bhandari é il nuovo capo di stato del Nepal. A Katmandu i palazzi hanno tremato per la seconda volta in pochi mesi, dopo il devastante recente sisma, che ha prodotto 400.000 senza tetto.
Bidhya è comunista non maoista e fervente femminista, che ha perso il compagno di vita e di lotta nel corso della guerra civile, condotta contro le caste dei nepalesi più potenti, eredi degli invasori patriarcali. In qualche modo la Storia sepolta riappare nel presente, anche a distanza di secoli !
Tuttavia, i Newar della valle di Katmandu, così come i regni delle antiche regine tibetane, non avrebbero mai potuto sospettare che il lento, ma a tratti vigoroso e improvviso, innalzamento della crosta terrestre dell’Himalaya, del Karakorum e delle altre catene montuose circostanti l’altopiano tibetano, potesse concorrere in modo così incisivo alla distruzione dei loro clan matriarcali.
Circa 7.000 anni fa le nubi già si addensavano costantemente intorno alle più alte montagne del mondo, attirando su di esse grandi piogge in estate e lunghe nevicate in inverno. Ma sottraendo a sempre più vasti territori del continente asiatico il vitale svolgimento del ciclo dell’acqua.
Infatti, ad eccezione di quelli bagnati dall’oceano a sud, beneficiari delle periodiche e spesso devastanti piogge monsoniche, a nord-est, a nord e a nord-ovest dell’altopiano tibetano i territori diventavano sempre più aridi.
In una vasta area centrale del continente asiatico (tra le attuali Mongolia e Cina occidentale) si ampliava quello che oggi risulta essere il 2′ deserto più grande del nostro pianeta: il deserto di Gobi ! Tutto intorno a questo distese di steppe sempre più vaste e sempre più povere di risorse idriche.
I disastrosi effetti dei fenomeni geologico e climatico, sommati insieme, nel corso dei millenni successivi costrinsero sempre più numerose popolazioni asiatiche a lasciare le proprie terre e a trasferirsi sulle coste indiana, indocinese, indonesiana e cinese, nonché a incamminarsi verso l’Europa. In questa stessa direzione seguirono in seguito molte altre popolazioni.
Come documenta in modo inconfutabile l’antropologa Heide Goettner-Abendroth, durante le prime migrazioni, tuttavia, le terre costiere e limitrofe erano abitate dalle società matriarcali, composte dai clan delle rispettive aggregazioni etniche.
Finché fu possibile ospitare i migranti in condizioni di pacifica accoglienza e convivenza, non fu necessario ricorrere ad atti di forza e tanto meno a guerre.
Con lo sviluppo delle attività agricole e il connesso disboscamento, si cercò di far fronte alle nuove necessità alimentari e abitative. Tuttavia, maggiore alimentazione significò anche crescita della popolazione e maggiore disboscamento significò ulteriore estensione delle terre aride !
Questo provocò ulteriore pressione da parte dei popoli delle steppe nei confronti di quelli più vicini alle coste e ai sistemi collinari beneficiari di piogge.. Fu necessario allora disputare il legittimo possesso dei territori: attività aggressiva sconosciuta prima di allora.
Sappiamo, ad esempio, che durante il trascorso Paleolitico l’arrivo dell’Homo Sapiens in Europa (proveniente dall’Africa), non implicò atti di violenza ai danni del preesistente Homo di Neanderthal !
Molti antropologi dicono che le attività belliche non sarebbero state possibili, senza le armi foggiate prima con il bronzo e poi con il ferro. Altri, come me, sostengono invece, che per uccidere sarebbero state sufficienti le pietre bene acuminate.. Quindi, l’Homo Sapiens non uccise l’Homo di Neanderthal e l’estinzione di questo ramo della specie umana ha cause connesse con le leggi biologiche della selezione naturale delle specie. Esattamente il contrario di ciò che accadde all’origine della persistente estinzione delle società matriarcali, a causa dei popoli che intrapresero la strada delle invasioni violente !
La cultura matriarcale é fondata sul culto della vita e della rinascita. I suoi uomini (e soprattutto le donne) non potevano desiderare la morte di altri uomini e donne ! La loro arma di difesa fu la resistenza passiva. Alcuni abbandonarono agli invasori le terre fertili e organizzarono la sopravvivenza dei loro clan sulle montagne. Altri (la maggioranza) continuarono a cercare l’integrazione con gli invasori, che rischiavano di vivere in condizioni subordinate rispetto alle più progredite culture matriarcali.
Per questo fondamentale motivo c’è ragione di credere che la ricerca e la lavorazione del bronzo prima e del ferro poi, furono favorite dalla necessità dei popoli (definiti “indo-europei”) di foggiare armi, per far valere con la forza le loro volontà di possesso dei territori già appartenenti alle società matriarcali.
C’è da considerare che anche tra clan di culture matriarcali diverse, gli incontri che seguivano alle esplorazioni di nuove terre, erano caratterizzati da scambio sia di doni sia dell’uso dei rispettivi linguaggi (vedi Richard Ferster) favoriti dalle diffuse simili abitudini, ispirate dallo stile di vita rispettoso di ciò che offriva loro la comune Grande Dea, identificabile con la Madre Terra (molto eloquenti in materia risultano essere le ricerche archeologiche di Marija Gimbutas, che parlano del “Linguaggio della Dea” e della “Civiltà della Dea”).
Le popolazioni provenienti dalle aride terre del continente asiatico centrale avevano progressivamente già perso simili usanze e trovarono molte difficoltà, nel farsi capire e nel farsi accettare nella loro maggiore povertà materiale e spirituale. Anche per questo i fratelli e i padri delle donne a capo dei clan matriarcali delle aree costiere e limitrofe, considerando il loro numero maggiore, pur senza armi, avrebbero comunque mantenuto in condizioni di inferiorità gli invasori.
Fu allora, quindi, che tra quest’ultimi iniziò a formarsi la mentalità patriarcale, fondata sullo sviluppo della razionalità maschile, applicata alle strumentazioni belliche (soprattutto metalliche), con lo scopo di sovvertire una condizione di inferiorità grazie all’uso della forza, finalizzata ad imporre il loro dominio.
Nei millenni successivi questa mentalità bellica, fondata sullo sviluppo delle armi, ebbe modo di crescere, raffinarsi e svilupparsi ulteriormente. Possiamo anche dire che il culto della “tecnologia” iniziò a trovare ampio seguito tra quanti (anche già appartenenti alle culture matriarcali) si adattarono sempre più all’uso della forza militare, per prevalere sugli altri. Fino ad arrivare ai tempi nostri, nei quali, dopo l’industria metalmeccanica, persino Internet é nato grazie ad analoghe stimolazioni !
Tuttavia, finito il Neolitico e iniziata l’era dell’agricoltura e con essa l’aumento della popolazione urbana e rurale, la sola forza delle armi metalliche non fu sufficiente, per imporre un nuovo corso alla Storia dell’umanità. Si rese necessaria la trasformazione dei miti matriarcali in miti patriarcali (molto eloquente in proposito lo studio sui “Miti Greci” di Robert Graves) e delle connesse e conseguenti religioni: fino ad arrivare a quelle monoteiste.
In questa operazione di trasformazione culturale, oltre alla denigrazione e umiliazione del “fulcro” delle società matriarcali (la donna), fu necessario ricorrere a un ulteriore potente strumento di dominio, che fu individuato nelle classi sociali: quelle che in India divennero “caste”.*
Grazie al sistema delle classi sociali i dominatori hanno potuto mantenere e persino accrescere il loro potere, fondandolo sulla sempre più sviluppata parcellizzazione e segmentazione delle popolazioni a loro sottomesse ! Il sistema delle caste in India rappresenta soltanto l’esasperazione di un criterio di dominio imposto dalla maggiore varietà, quantità e frammentazione di etnie e relative credenze religiose.
Soltanto la puntigliosa applicazione del principio romano “divide et impera” poté garantire in forma stabile l’espansione della cultura patriarcale e delle relative civiltà, cui essa ha dato impulso.
Se nelle società matriarcali il “fulcro” civile e religioso, che ha sostenuto (e in alcune aree residue ancora sostiene) le culture matrilineari, é costituito dalla donna, nella sua funzione di madre generatrice e rigeneratrice dei componenti del clan. Nelle società patriarcali, imposte con l’uso della forza, il “fulcro” civile e religioso é costituito dall’uomo, nella sua funzione di padre inseminatore, coltivatore, possidente e difensore armato sia del clan familiare patrilineare sia della società nazionale, cui esso appartiene. Dopo quelli “imperiali”, i miti “nazionali” sono stati il fattore culturale aggregante, per conferire maggior potere di controllo sociale alla struttura patrilineare, dominata grazie alla frantumazione in classi ! Esse costituiscono un baluardo, quasi insormontabile, al quale ciascun uomo cerca di attenersi, inculcando ai propri figli i “sacri principi” individualistici, da poter sacrificare solo in nome del falso bene comune “Nazione” !
Ancora in Era Moderna ed Era Contemporanea molte mostruose barbarie belliche (si pensi solo a Hiroshima e Nagasaki, ai genocidi di popoli indigeni americani, di Armeni, di Ebrei e di Palestinesi) sono state giustificate con questo mito e molte fiabe sono state scritte, ispirandosi all’inconscio desiderio femminile di recuperare il ruolo sociale perduto. Ancora oggi lo scavalcare gli steccati delle classi sociali é considerato pura fantasia fiabesca, adatta per sceneggiare film, come “Pretty Woman” !
*CASTE INDIANE (di C. Zanie)
L’origine della divisione in caste della società indiana risale alla penetrazione degli arii (ariani o indoeuropei) in India nel corso del secondo millennio a.C. Essa si ricollega a divisioni funzionali e rituali (per esempio tra sacerdoti e guerrieri) presenti in molte popolazioni indoeuropee le cui tracce sono ben riconoscibili sia nel mondo greco antico sia in quello celtico o germanico. Nel caso dell’India gli invasori forse recepirono anche stratificazioni sociali già consolidatesi nella elaborata civiltà dell’Indo, cui essi si sovrapposero. Il meccanismo castale fu inizialmente usato per tener separati i ruoli dei dominatori da quelli dei dominati, com’è chiaramente indicato dal termine sanscrito varna (colore) che indica tradizionalmente le principali suddivisioni e che riflette la originaria differenza razziale tra indoeuropei (chiari) e indigeni (scuri), marcando in maniera ancora oggi percettibile, nell’India del nord, il colore della pelle degli appartenenti alle due caste superiori rispetto agli altri. L’istituzionalizzazione del sistema castale, che lo rese un perno nella vita sociale e religiosa degli indiani e nell’organizzazione economica professionale, avvenne tuttavia con molta gradualità nel corso del primo millennio a.C. e nei primi secoli dell’era volgare. Allora fu codificata la distinzione fondamentale, in ordine gerarchico, trabrahmani (sacerdoti), kshatrya (guerrieri), vaishya (mercanti e artigiani) e shudra (servi), cui si aggiungevano i “fuori casta”, genericamente indicati come paria o intoccabili, esclusi dal novero castale per la spregevolezza dell’occupazione o per aver perso, violandone le norme, l’appartenenza alla casta e, con essa, i diritti sociali e i ruoli nella ritualità religiosa. Le caste, infatti, impongono una serie assai complessa di regole, tra cui, principale, l’endogamia (la possibilità cioè di sposarsi solo all’interno della casta), e numerose disposizioni di purezza rituale, tra cui l’astensione da certo cibo (i brahmani dovrebbero essere rigorosamente vegetariani) o il divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande ecc.). È esclusa comunque in via di principio, qualsiasi mobilità intercastale e in aree rurali è ancora frequente una distribuzione spaziale tra caste diverse all’interno di uno stesso villaggio, con quartieri separati e pozzi separati. La suddivisione in quattro caste si andò a sua volta spezzettando in “sub-caste”, tutte altrettanto rigidamente escluse le une dalle altre, basate su fattori specifici quali la lingua, la professione esercitata, la provenienza geografica originaria, la specifica affiliazione a una setta religiosa induista e così via. Secondo una stima generica il numero attuale delle caste si aggira intorno a duemila e oltre. Ma una piccola parte soltanto della popolazione è ascrivibile alle prime due caste, mentre la massa rientra nella quarta e i “fuori casta”, noti con il nome di harijan (figli di Dio) attribuito loro da M.K. Gandhi, sono molte decine di milioni. Al sistema delle caste si opposero le grandi religioni nate in India sul tronco induista, dal buddhismo (VI secolo a.C.) ai sikh (XVI secolo), sino ad alcune correnti riformiste del XIX e XX secolo. Ma esse rimasero, nella società indiana, nettamente minoritarie, mentre religioni esterne, come l’Islam (presente in India dal X secolo) o il cristianesimo, finirono con l’assorbire al proprio interno stratificazioni sociali che riflettono in maniera anche assai elevata la rigidità propria del sistema castale induista. Il sistema pare essersi rafforzato, adattandosi e razionalizzandosi in direzioni professionali/clientelari nell’ultimo secolo: accettato da Gandhi (che si preoccupò di smussarne alcune asperità umilianti come la segregazione degli intoccabili) fu ufficialmente bandito nel 1950 dalla Costituzione dell’India indipendente (che anzi prescrive protezioni e garanzie specifiche per le caste più basse, i “fuori casta” e le tribù primitive) ma nei fatti si sviluppò sia in riferimento al sistema elettorale maggioritario sia rispetto alle divisioni del mondo del lavoro sia, nei ceti più elevati e più colti, come garanzia di status.
4 commenti
Molto interessante
Ciao Alberto. Ho letto le tue tesi sull’Islam. Credo, però che si tratta solo di fazioni di fanatici, come ce ne sono anche da noi. La differenza é che le multinazionali occidentali in Africa e Asia armano le bande dei fanatici, pensando di usarle per i loro loschi scopi. Il risultato é far crescere i consensi dei giovani islamici, che non vedono futuro (come da noi) a favore di queste bande…
Ti saluto