Quando sentivo parlare di difesa dei confini, il mio pensiero andava a mio padre, piccolo fante della Brigata Sassari, ai suoi commilitoni, e al loro tenentino Emilio Lussu.
Sull’altopiano d’Asiago affrontarono gli assalti dei nemici e le loro pallottole.
Non vollero lasciar passare lo straniero, e ci riuscirono.
Oggi, invece, quando sento parlare di difesa dei confini, so già che si sta parlando di Matteo Salvini.
Sul falsopiano del Viminale, e soprattutto sulla sabbia del Papeete Beach, affrontò a petto nudo gli assalti dei giornalisti e la raffica delle loro domande.
Non volle lasciar passare la comandante Carola Rackete, che poi passò lo stesso.
Un vero combattente, un patriota.
Per questa ragione non mi sento di criticare l’ex ministro se ogni tanto sbaglia qualche citazione.
Molti hanno ironizzato sul fatto che Salvini, ad esempio, stia studiando la vita e le opere di Silvio Pellico, personaggio nel quale tenderebbe ad immedesimarsi.
Con tutti i casi di omonimia è facile confondersi.
Sarà capitato anche a voi di sentire degli amici dire che Matteo è pirla, quand’è evidente che stanno parlando di quello bischero. E viceversa…
Ora è evidente che il Silvio di cui parla Salvini non si chiama Pellico, ma si chiama Berlusconi.
E non è quello delle “Mie prigioni”, ma è quello dei servizi sociali.
Salvini è anche convinto che, attraverso la via giudiziaria, vogliono metterlo fuori dalla vita politica.
Io ho invece il sospetto che vogliano proprio metterlo dentro.
Spero sinceramente di no, ma se così fosse sono certo che il leader leghista saprà affrontare la prova con profondo spirito religioso.
La remissione delle colpe si ottiene, come certamente sa, anche con la penitenza.
In un penitenziario, appunto.