Oltre i mille grandi elettori c’è il paese

per Gabriella
Autore originale del testo: Norma Rangeri
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/oltre-i-mille-ce-il-paese/

di Norma Rangeri 01 febbraio 2015

Ser­gio Mat­ta­rella è diven­tato pre­si­dente della repub­blica. Come annun­ciato, senza sor­prese. Tranne qual­che franco soste­ni­tore tra le file ber­lu­sco­niane, sem­pre più in ordine sparso.

Quei 665 voti (Napo­li­tano ne aveva rice­vuti 543) danno forza e slan­cio alla figura del nuovo Capo dello stato. Se doves­simo usare toni reto­rici dovremmo dire che fin in dai primi segnali di que­sta sua nuova vita poli­tica, il neo­pre­si­dente parla un’altra lin­gua. Men­tre tutti lo cer­ca­vano inse­guendo una Panda gri­gia — diven­tata ieri quasi un sim­bolo di nor­ma­lità — Mat­ta­rella è com­parso in tv, per­fetto sco­no­sciuto al popolo dei tele­spet­ta­tori, visi­bil­mente emo­zio­nato per la sua prima appa­ri­zione pub­blica da Presidente.

Accanto alla pre­si­dente della Camera, il Capo dello stato ha preso la parola per pochi attimi, a con­ferma della sua pro­ver­biale riser­va­tezza. Lo ha fatto per rivol­gere «un pen­siero innan­zi­tutto e soprat­tutto alle spe­ranze e dif­fi­coltà dei nostri con­cit­ta­dini», aggiun­gendo «que­sto può bastare». E in effetti nelle “spe­ranze” e nelle “dif­fi­coltà” che vivono gli ita­liani in que­sti momenti di pro­fonda crisi e di rapida muta­zione poli­tica del paese c’è l’istantanea e la sin­tesi dell’Italia degli “ultimi”. Poi si è diretto per un omag­gio alle Fosse Ardea­tine, gesto sim­bo­lico, testi­mo­nianza di fedeltà e rico­no­sci­mento ai mar­tiri della Resi­stenza e alla Costi­tu­zione che ne porta i segni.

Spe­ranze e dif­fi­coltà delle per­sone nor­mali, ma anche spe­ranze e dif­fi­coltà di un mondo poli­tico che con l’elezione di Mat­ta­rella (per­fet­ta­mente pia­ni­fi­cata nelle stanze del par­tito di mag­gio­ranza) ha dato e rice­vuto uno scos­sone che pro­ba­bil­mente influirà su alleanze ed equi­li­bri futuri. Per­ché l’elezione per il Qui­ri­nale sem­bra aver rime­sco­lato le carte per un nuovo gioco poli­tico. Tra vin­ci­tori e vinti, tra destra e sinistra.

Innan­zi­tutto è evi­dente il risvolto che que­sta ele­zione avrà nel fra­sta­gliato mosaico della sini­stra. A comin­ciare dal presidente-segretario del Pd, raf­for­zato nella lea­der­ship in quanto prin­ci­pale arte­fice dell’operazione-Quirinale. Abile nel far appro­vare subito la riforma elet­to­rale, Renzi ha disar­mato l’ex Cava­liere, ha messo in stand-by il patto del Naza­reno, ha umi­liato l’alleato di governo.

Nono­stante la curiosa, e unica, cir­co­stanza di vedere un pre­si­dente del con­si­glio, nem­meno par­la­men­tare, che “nomina” il Capo dello Stato, que­sta par­tita Renzi l’ha dun­que gio­cata innan­zi­tutto come segre­ta­rio del Pd. Con un par­tito diviso e lace­rato, in disac­cordo su tutto (lavoro, riforme, demo­cra­zia interna) affron­tare il voto dei mille grandi elet­tori sarebbe stato un dop­pio salto mor­tale senza rete. Oltre­tutto, uno come lui, sen­si­bile agli umori dell’opinione pub­blica, non era certo inco­rag­giato a tirare ancora la corda men­tre i son­daggi regi­stra­vano un calo costante di popolarità.

La scelta del nome di Mat­ta­rella è stata pro­ba­bil­mente obbli­gata. Innan­zi­tutto dalla neces­sità di tenere insieme la “ditta” accet­tando una vera media­zione con il resto del par­tito. Eleg­gere il Capo dello Stato con Ber­lu­sconi avrebbe avvi­ci­nato il peri­colo di una scissione.

A buon diritto la sini­stra dei Ber­sani e dei Fas­sina può riven­di­care il posi­tivo risul­tato della sfida interna. Ma, con­tem­po­ra­nea­mente, quelli che sta­vano con un piede sull’uscio ora rien­trano in casa e, al mas­simo, pos­sono tenere la porta socchiusa.

Nulla cam­bia, invece, a sini­stra del Pd per­ché, l’appoggio con­vinto di Ven­dola a Mat­ta­rella (anzi pare che non ne abbia pro­po­sto uffi­cial­mente il nome per non bru­ciarlo), non modi­fica in que­sta area poli­tica la con­vin­zione che Renzi, nei con­te­nuti del suo pro­gramma poli­tico, con­ti­nuerà a diri­gere l’ammiraglia del Pd verso il cen­tro­de­stra di Alfano e Berlusconi.

L’elezione di Ser­gio Mat­ta­rella non muta, non stra­volge le poli­ti­che sul lavoro, non tra­sforma (anche se ieri Ber­sani cer­cava di spie­gare il con­tra­rio) l’impianto della legge elet­to­rale (pronta a essere appro­vata alla camera). Né cam­bierà la natu­rale sin­to­nia con Ber­lu­sconi, costretto all’alleanza sulle riforme se vuole man­te­nere almeno il con­trollo sui “nomi­nati” del pros­simo, futuro gruppo par­la­men­tare quando (molto in là sulla tabella di mar­cia) tor­ne­remo alle urne.
Cer­ta­mente la for­za­tura che Renzi ha impo­sto ai “naza­reni” di ogni ordine e grado, fino al pla­teale richiamo all’ordine del mini­stro Alfano, pro­vo­cherà una navi­ga­zione gover­na­tiva più difficile.

Ma i rap­porti di forza, l’unica cosa che conta nella poli­tica (ren­ziana e non solo), sono gli stessi di cin­que giorni fa. Anzi l’abile e lucida operazione-Quirinale (misu­rata, pesata, cali­brata nelle alchi­mie riser­vate tra gruppi e cor­renti) raf­forza la lea­der­ship del pre­mier. Se fino a ieri ha tirato la corda del Pd, rischiando di spez­zarla, ora tira quella del carro ber­lu­sco­niano. Un gioco di bri­glie in cui ha dimo­strato abi­lità e cini­smo. Anche per­ché vin­cere non avendo rivali non è poi così difficile.

Comun­que nelle pros­sime set­ti­mane vedremo che cosa cam­bierà, nelle scelte politico-istituzionali. Se il dua­li­smo (Mattarella-Renzi) con­vi­vrà feli­ce­mente e vedremo se que­sta pax cat­to­lica post-democristiana sarà in grado di rimet­tere in piedi il paese dalla dram­ma­tica situa­zione sociale in cui si trova.

Capi­remo se le prime frasi pro­nun­ciate dal Pre­si­dente della Repub­blica sono sol­tanto parole o diven­te­ranno fatti. Per­ché la par­tita non si gioca tra i mille scesi in campo tra le mura del par­la­mento, ma tra i milioni di lavo­ra­tori e fami­glie ita­liane che sono al collasso.

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