Nuovo Senato debole, governo fortissimo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gaetano Azzariti
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://fondazionepintor.net/parlamento/azzariti/senato/

di  Gaetano Azzariti, 28 ottobre 2014

 

Il dise­gno di legge di riforma costi­tu­zio­nale appro­vato in prima let­tura al senato e attual­mente in discus­sione alla camera è assai ampio e arti­co­lato. Mi limi­terò qui a veri­fi­care la coe­renza com­ples­siva del modello pre­scelto, per poi sof­fer­marmi su un unico aspetto spe­ci­fico, par­ti­co­lar­mente qua­li­fi­cante l’ampia revi­sione proposta.

Per quanto riguarda il modello, la scelta com­piuta dal governo — e rece­pita dal senato — è stata assai impe­gna­tiva. Non ci si è limi­tati infatti a decre­tare la fine del bica­me­ra­li­smo per­fetto e ad esclu­dere dal cir­cuito fidu­cia­rio una delle due camere (il senato), pro­spet­tiva da tutti con­di­visa, ma si è adot­tato la par­ti­co­lare con­fi­gu­ra­zione del «senato delle auto­no­mie», con il con­te­stuale rifiuto di altre ipo­tesi pur pro­spet­tate sia in sede di dibat­tito pub­blico sia in sede pro­pria­mente parlamentare.

Scar­tate le pro­po­ste di «senato delle garan­zie» (ipo­tiz­zato dal sena­tore Chiti) e quella del «senato delle com­pe­tenze» (sug­ge­rito dalla sena­trice Cat­ta­neo), non è stata presa nep­pure in con­si­de­ra­zione la più radi­cale e lim­pida solu­zione mono­ca­me­rale. Non discu­terò qui la scelta com­piuta, vor­rei invece sof­fer­marmi su alcune ano­ma­lie che sem­brano emer­gere e che rischiano, se non com­prese o cor­rette, di defi­nire un «senato delle auto­no­mie» debole, se non addi­rit­tura una sua con­fi­gu­ra­zione «dege­ne­rata». E, ci ricorda Ari­sto­tele, la «dege­ne­ra­zione» dei modelli è il rischio mag­giore di ogni scelta politica.

Come ci inse­gna il diritto com­pa­rato, la scelta del senato delle auto­no­mie è fun­zio­nale alla valo­riz­za­zione degli enti ter­ri­to­riali — è l’opzione pre­fe­rita dagli stati fede­rali. L’anomalia della pro­po­sta di revi­sione — la sua debo­lezza strut­tu­rale — è che essa ne pro­spetta l’adozione nel momento di più pro­fonda crisi del regio­na­li­smo non per inver­tire la rotta, rilan­ciando il modello auto­no­mi­si­tico, bensì con l’esplicito pro­po­sito di asse­con­dare un pro­cesso di ridu­zione dei poteri di que­sti enti. Il nuovo testo della costi­tu­zione, rispetto alla riforma del 2001, ha un’impronta mar­ca­ta­mente sta­ta­li­sta, pre­ve­dendo una forte ricen­tra­liz­za­zione delle com­pe­tenze, eli­mi­nando la pote­stà legi­sla­tiva con­cor­rente, rein­tro­du­cendo la clau­sola dell’interesse generale.

La stessa vicenda che ha por­tato a defi­nire il modello appare sin­to­ma­tica e dimo­stra la volontà non di valo­riz­zare, bensì d’emarginare, il ruolo poli­tico e costi­tu­zio­nale delle regioni. La pro­po­sta ori­gi­na­ria era quella di un «senato dei sin­daci» e la stessa rela­zione del governo al dise­gno di legge costi­tu­zio­nale, non­ché ancora la rela­zione dell’on. Sisto al testo così come è giunto alla camera, rico­no­scono che la rap­pre­sen­tanza regio­nale funge da «con­trap­peso» al nuovo assetto del riparto delle com­pe­tenze legi­sla­tive tra stato e regioni.

È forse a que­sta debo­lezza strut­tu­rale che devono farsi risa­lire alcune ambi­guità di for­mu­la­zione inse­rite nel testo. Non credo sia cor­retto, in realtà, affer­mare che il Senato «rap­pre­senta le isti­tu­zioni ter­ri­to­riali» (secondo la pro­po­sta di modi­fica dell’articolo 55 Cost.), né che i sena­tori siano «rap­pre­sen­ta­tivi delle isti­tu­zioni ter­ri­to­riali» (secondo la pro­po­sta di modi­fica dell’articolo 57 Cost.).

A rigore, infatti, la rap­pre­sen­tanza isti­tu­zio­nale dovrebbe impli­care — così come è in Ger­ma­nia — una scelta dei sena­tori da parte dei governi locali «che li nomi­nano e li revo­cano» (art. 51 GG), il voto uni­ta­rio di tutti i sena­tori di una stessa regione (ovvero Län­der: art. 51 GG), non­ché l’obbligo — impo­sto in Ger­ma­nia per via di prassi — di rispet­tare le diret­tive che ven­gono impar­tite dai governi locali. Solo in tal modo l’istituzione in quanto tale è rap­pre­sen­tata nell’organo senatoriale.

Nulla di tutto que­sto è pre­vi­sto nel dise­gno di legge costi­tu­zio­nale. Si sta­bi­li­sce, invece, un’elezione poli­tica di secondo grado da impu­tarsi ai con­si­gli regio­nali, ele­zione che deve avve­nire con metodo pro­por­zio­nale (pro­po­sta di modi­fica dell’articolo 57) al fine di garan­tire la par­te­ci­pa­zione delle oppo­si­zioni poli­ti­che. Que­sto mec­ca­ni­smo di scelta dei mem­bri del senato non pro­duce una rap­pre­sen­tanza dell’ente, bensì assi­cura una rap­pre­sen­tanza del ceto poli­tico locale e dei par­titi nazio­nali nelle loro con­for­ma­zioni ter­ri­to­riali. Viene inol­tre con­ser­vato il divieto di man­dato impe­ra­tivo anche per i sena­tori (pro­po­sta di modi­fica dell’articolo 67). Que­sti dun­que non rap­pre­sen­tano l’ente. In caso, il punto cri­tico è che essi non rap­pre­sen­tano più nep­pure la Nazione, rischiando di rap­pre­sen­tare solo il ceto poli­tico di appar­te­nenza. Sarebbe oppor­tuno, allora, scio­gliere que­sto nodo, o almeno modi­fi­care quanto scritto agli arti­coli 55 e 57 (nuova ver­sione), indi­cando — come in altre costi­tu­zioni euro­pee — che non di rap­pre­sen­tanza isti­tu­zio­nale si tratta, ma di una mera — e ben più gene­rica — rap­pre­sen­tanza ter­ri­to­riale. Un modello dun­que debole di senato delle autonomie.

Tra le misure più inci­sive inse­rite nel dise­gno di legge costi­tu­zio­nale v’è l’introduzione dell’istituto del «voto a data certa» (pro­po­sta di modi­fica dell’ultimo comma, arti­colo 72).

Ora è evi­dente — al di là di ogni con­si­de­ra­zione di merito o di oppor­tu­nità — che la pos­si­bi­lità data al governo di imporre al par­la­mento una deli­bera entro 60 giorni incide pro­fon­da­mente sugli equi­li­bri costi­tu­zio­nali, raf­for­zando le pre­ro­ga­tive dell’esecutivo. Bene ha detto la pre­si­dente della Camera quando ha rile­vato che «l’esigenza di disporre di pro­ce­dure e tempi certi (…) potrà essere sod­di­sfatta pie­na­mente e in modo equi­li­brato solo qua­lora non deter­mini uno schiac­cia­mento del ruolo del par­la­mento, ma ne sal­va­guardi invece le pre­ro­ga­tive». A me sem­bra che un rischio di «schiac­cia­mento» ci sia, soprat­tutto vista la troppo gene­rica for­mu­la­zione adottata.

Escluse alcune ipo­tesi (leggi bica­me­rali, elet­to­rali, di rati­fica dei trat­tati inter­na­zio­nali, leggi appro­vate a mag­gio­ranza spe­ciale) il governo può chie­dere il voto sul suo testo entro 60 giorni in tutti i casi sem­pli­ce­mente indi­cando che il dise­gno di legge è rite­nuto «essen­ziale per l’attuazione» del suo pro­gramma. Una for­mu­la­zione assai gene­rica, che sostan­zial­mente rimette al governo stesso l’ampiezza del suo potere. Nulla impe­dirà, infatti, di far rite­nere essen­ziale per l’attuazione del pro­gramma ogni dise­gno di legge, anche il più esoterico.

In fondo, la vicenda dell’abuso della decre­ta­zione d’urgenza e l’interpretazione disin­volta dei ben più strin­genti limiti della «straor­di­na­ria neces­sità ed urgenza» dovreb­bero far capire che non sarà una for­mula di stile («essen­ziale per l’attuazione del pro­gramma») a fre­nare l’abuso del nuovo isti­tuto da parte dei pros­simi governi. Almeno la com­mis­sione isti­tuita dal governo Letta pro­po­neva di limi­tare nel numero la pos­si­bi­lità di ricor­rere a quest’istituto.

Anche la scelta rimessa al governo di sta­bi­lire su quale testo votare (su quello «pro­po­sto» o su quello «accolto» dal governo) appare peri­co­losa: si rischia di far venir meno ogni inte­resse del governo a che sia il par­la­mento ad appro­vare — entro i 60 giorni sta­bi­liti — il dise­gno di legge. Ed anzi può favo­rire il disin­te­resse — se non pro­pria­mente un’azione di con­tra­sto — del governo e della sua mag­gio­ranza, che, impe­dendo al par­la­mento di deci­dere, può assi­cu­rare l’approvazione della legge nel testo deciso dal governo.

Dal diritto com­pa­rato biso­gna impa­rare anche per gli esempi nega­tivi. E il più vicino parente del voto a data certa è l’istituto fran­cese del vote blo­qué. Un isti­tuto che ha con­corso a ren­dere il par­la­mento d’oltralpe tra i più deboli in Europa e ha con­tri­buito a con­cen­trare l’intera dia­let­tica poli­tica altrove: nel rap­porto tra pre­si­dente della Repub­blica e primo mini­stro. Se si vuole sal­va­guar­dare un ruolo auto­nomo al par­la­mento ita­liano nell’attività di pro­du­zione nor­ma­tiva, un argine al potere legi­sla­tivo del governo dev’essere seria­mente posto.

Il testo riprende e sin­te­tizza il con­te­nuto dell’audizione in prima com­mis­sione al senato.

da il manifesto del 29 ottobre 2014

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