In questi giorni è stato pubblicato dal Ministero della Salute una bozza di Piano Pandemico 2021-2023 come strumento di riferimento per affrontare future crisi, dopo le polemiche legate al suo mancato rinnovo dal 2006 ad oggi e dopo l’inchiesta della procura di Bergamo in corso. La bozza, che trae un insegnamento prezioso proprio dalla pandemia di Covid-19 in atto, elaborata dal dipartimento Prevenzione del ministero della Salute, sarà sottoposta alle Regioni e indica una serie di misure per fronteggiare le pandemie.
“E’ solo una bozza informale condivisa con i soggetti interessati e destinata a raccogliere indicazioni e modifiche”, si premurano a dire dal Ministero della Salute.
Il testo prevede misure di prevenzione e controllo, nonché azioni di monitoraggio dell’attuazione del piano stesso. È necessario garantire la disponibilità di forniture annuali di vaccino contro l’influenza stagionale da fonti nazionali o internazionali e disporre e mantenere una riserva nazionale/regionale di farmaci antivirali durante la fase inter-pandemica, definendo le modalità di accesso alle riserve. In riferimento ai Piani regionali, nella bozza si sottolinea che questi “devono essere attuati dopo 120 giorni dall’approvazione del Piano nazionale e ogni anno va redatto lo stato di attuazione”. Nel Piano si dà anche spazio al ruolo della corretta comunicazione, considerata fondamentale per prevenire e contrastare le fake news.
Ma il punto del Piano che ha attirato maggiormente l’attenzione si riferisce alla scelta delle persone da trattare con precedenza in situazioni di emergenza e di scarsità di risorse. Nel testo, che recepisce le linee guida dell’Oms del 2018, si legge: «Quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio». E «dare priorità alle cure mediche per i gruppi identificati (ad esempio bambini, operatori sanitari e pazienti con maggiori possibilità di sopravvivenza)». In particolare, nel documento del Ministero della Salute si evidenzia che «la solidarietà deve ispirare ogni decisione, gli interventi devono essere basati sempre sull’evidenza e proporzionati, le restrizioni e l’intrusione nella vita delle persone dovrebbero essere le minori possibili in relazione al raggiungimento dell’obbiettivo perseguito e le persone devono sempre essere trattate con rispetto». Forse qualcuno ricorderà le polemiche suscitate all’inizio della pandemia dal documento SIAARTI (Società Italiana di Anestesia e Rianimazione). La questione è delicata, complessa e spinosa.
Quali sono i malati che hanno maggiori probabilità di trame beneficio? Considerata la problematicità di una scelta responsabile e coscienziosa su basi cliniche, vi è il pericolo che il criterio dell’età sia quello che verrà adottato in ogni situazione. E riprende la discussione: la esistenza di una persona conta per la sua durata o per sé stessa? I pochi mesi che presumibilmente ha ancora di vita il 103enne vaccinato in questi giorni, come pubblicato dai giornali, non hanno nessun valore? Come si può calcolare il loro valore? Sulla soggettività della parte in causa, sui sentimenti di parenti e amici? E dove si deve collocare il livello dell’asticella che determina chi deve vivere o morire? E soprattutto chi stabilisce dove collocarla?
MINO DENTIZZI