di Alfredo morganti – 2 maggio 2016
La parola ‘futuro’ è un termine molto gettonato in politica, soprattutto da chi si presenta al popolo come ‘innovatore’, modernizzatore, nuovista. Il candidato emiliano del PD alle scorse regionali voleva, addirittura, ‘cambiare il futuro’ (che notoriamente non esiste e, dunque, non è nemmeno sottoponibile a un cambiamento attuale)! Ho sempre avuto l’impressione che, chi parla del futuro, forse non è in grado di fare un vero discorso sul presente: ben più impegnativo e vincolante delle chiacchiere in astratto sull’inesistente.
Sappiamo che, sul tema del futuro, i nuovisti al governo si stanno giocando un bel pezzo di credibilità. Visto che manifestano chiare difficoltà per ciò che riguarda un effettivo riassetto del presente, deviano metodicamente l’attenzione sul tempo che verrà, sperando che la propaganda funzioni meglio dei progetti. Il Sud? Tra due anni sistemiamo tutto. La scuola? Dateci tre anni. Il lavoro? Pian piano i conti torneranno. Le risorse? Due miliardi di qua e tre di là, poi si vedrà.
Nell’attuale trionfo di parole come ‘cambiamento’, ‘futuro’, ‘giovani’, ‘start up’, ‘social’, ‘fiducia’, ‘rottamazione’, ‘l’Italia è un grande Paese’, spuntano però alcuni sondaggi. Quelli di ‘Repubblica’, realizzati in occasione della festa del lavoro, per i quali la quota di chi ritiene che il futuro sia incertissimo e spinga a non fare progetti di lungo termine è molto alta e crescente, il 66% addirittura. In aumento rispetto allo scorso anno (quando era il 59%). E qui non c’entrano Monti, Letta o Bersani. Qui si parla già del ventennio renziano, del suo anno II se non quasi III.
La stolta insistenza sul futuro partorisce incertezza, per una sorta di eterogenesi dei fini, invece di generare un antidoto concreto alla percezione del rischio. Forse, dico forse, non sono le chiacchiere a modificare in positivo le psicologie collettive, ma le politiche effettive e la loro efficacia. Non gli annunci ma i provvedimenti. Non generici investimenti, ma programmi, progetti, risultanze effettive. Una volta, in una riunione, il capo della comunicazione di una rilevante azienda pubblica romana disse che il servizio sarebbe comunque ‘migliorato’ anche intervenendo sulla percezione che gli utenti ne avevano. Ma ciò poteva funzionare per un po’, inizialmente, poi se non si interveniva sulla qualità del servizio stesso, a nulla sarebbe valsa la psicologia di massa. E così andò, difatti.
C’è il tempo delle chiacchiere e c’è quello delle scelte effettive, quello degli annunci e quello dei provvedimenti, quello dell’antipolitica e quello della politica. Le aspettative sul futuro, normalmente, sono una variabile dipendente dai secondi termini di tutte queste locuzioni. Lo sanno anche al governo, ovvio, solo che sono capaci soltanto di impegnarsi sui primi termini. Oppure distribuire bonus. Che si fa anche prima.