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di Luca Billi – 25 luglio 2016
Sarebbe bello e confortante se il 25 aprile 1945 fosse la data capace di raccontare questo nostro sfortunato paese, ma purtroppo non è così. Il 25 aprile racconta la storia di una minoranza, quella migliore, di italiane e di italiani – magari non così pochi come una propaganda interessata vorrebbe farci credere, ma pur sempre una minoranza – che con il proprio coraggio e il proprio sacrificio, anche estremo, hanno testimoniato quei valori altissimi che ancora noi dovremmo avere come guida. Quei pochi – quei pochi felici, avrebbe detto Shakespeare – hanno riscattato l’ignavia e la codardia della parte peggiore del nostro paese, quella numericamente maggiore.
Se dovessimo, con onestà e senza autocompiacimento, indicare una data per raccontare la maggioranza delle italiane e degli italiani allora dovremmo scegliere il 25 luglio 1943. Ovviamente anche in quella data non mancarono gli esempi di un fiero, coraggioso e mai nascosto antifascismo e giustamente ogni anno in questa data ricordiamo la pastasciutta antifascista che la famiglia Cervi preparò per festeggiare la fine del regime, da offrire a tutti i loro concittadini di Campegine. Ma il 25 luglio è soprattutto l’occasione per ricordare, e rimarcare, alcuni comportamenti che in qualche modo possono essere considerati i nostri veri caratteri originari.
Il 25 luglio racconta il tentativo, peraltro riuscito, delle classi dirigenti di questo paese di scaricare ogni colpa su Mussolini, mentre tutti loro, dal re agli alti gradi dell’esercito, dalla chiesa cattolica alle banche, dagli agrari ai grandi industriali, ebbero le stesse, se non maggiori, colpe nella nascita e nel consolidarsi del regime, nelle persecuzioni razziali e nella sistematica eliminazione di ogni forma di opposizione, fino alla scellerata decisione di scendere in guerra a fianco della Germania nazista. L’Italia divenne fascista perché i padroni avevano bisogno del fascismo per uccidere i capi socialisti e comunisti, come Matteotti e Gramsci, perché avevano bisogno di qualcuno che bruciasse le camere del lavoro, che picchiasse i sindacalisti, che impedisse al movimento operaio di crescere in Italia. L’Italia divenne fascista perché gli agrari avevano bisogno di difendere i loro latifondi dall’idea che la terra era di chi la coltivava e perché i padroni delle fabbriche avevano bisogno di operai che non chiedessero aumenti di stipendio o migliori condizioni di vita. L’Italia divenne fascista perché tutti questi non volevano che diventasse socialista.
Tolto di mezzo il duce – che proprio per questo sarebbe stato ucciso comunque, anche se non ci avessero pensato i partigiani – il re, i generali, i banchieri, gli agrari, gli industriali poterono tornare a governare l’Italia, come se niente fosse successo. Qualche anno dopo fu necessario sacrificare anche il re, ma fu per loro una perdita da poco. Anzi fu un modo per presentarsi in maniera più credibile come democratici, anche se dentro rimanevano fascisti.
Bisogna dire però che questa vile ipocrisia, questa sistematica mancanza di memoria, questo oblio istituzionalizzato, non furono solo appannaggio delle classe dirigenti, ma coinvolsero appunto la stragrande maggioranza degli italiani di allora, che in fretta gettarono via la camicia nera. Molti, più spudorati, dissero che loro non erano mai stati fascisti, cominciarono a criticare gli eccessi del regime e a denunciarne le malefatte, spesso si trasformarono in delatori, quando questo garantiva loro qualche vantaggio. Altri, forse ancora di più, in maniera meno appariscente, silenziosamente fecero finta di nulla, continuarono a fare quello che avevano sempre fatto, sicuri che alla fine tutto si sarebbe messo a posto, sarebbero arrivati i nuovi padroni – o meglio sarebbero stati gli stessi di prima, ma con in tasca una diversa e finalmente più rispettabile tessera di partito – e quindi anche loro sarebbero rimasti al loro posto. A questi servi poco importa chi siano i padroni, pur che la paga sia la stessa e soprattutto che il loro piccolo potere rimanga intatto.
E quindi questi nostri compatrioti, remissivi di fronti ai potenti che stavano sopra di loro e prepotenti verso i deboli che stavano sotto, maschilisti – non erano così perché lo voleva il fascismo, ma era il fascismo che era così per adeguarsi alla maggioranza degli italiani – bigotti e puttanieri – anche in questo Mussolini era non un modello, ma il prodotto della società italiana – sempre pronti a fregare gli altri, a non pagare le tasse, a chiedere favori, facendoli poi diventare diritti, a eludere i doveri, magari denunciando gli altri perché non rispettavano quelle regole che loro puntualmente violavano, quel 25 luglio divennero i “nuovi” italiani antifascisti. Loro ormai sono morti, ma i loro figli, i loro nipoti, sono qui, li conosciamo assai bene.
Il 25 luglio racconta la meschineria, l’ipocrisia, l’opportunismo, la slealtà degli italiani: prima o poi dovremo fare questa giorno festa nazionale.