I “non so” di Michele Emiliano acuiscono la tensione fra gli scissionisti Pd

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro De Angelis

di Alessandro De Angelis –  20 febbraio 2017

Aspettando Emiliano. Bersani e i bersaniani lo attendono, per dare un profilo nuovo, oltre la Ditta, al nuovo partito: “Teniamolo agganciato”. Andrea Orlando riflette sulla sua candidatura pressato dai suoi, parla con tutti, verifica quanto possa andare oltre i confini degli ex ds rimasti dentro, anche in caso di scissione. Ma, soprattutto, aspetta di capire cosa farà Emiliano. Perché la sua uscita dal Pd è tutt’altro che scontata: “Non so – dice Emiliano – se domani andrò in direzione”. Dove invece è certo che i bersaniani non andranno. E dunque non parteciperanno al congresso.

In quest’attesa di Emiliano tra i fondatori del nascituro partito c’è un coacervo di tensioni, preoccupazioni, paure che riguardano la vera posta in gioco, ovvero l’entità e il peso della scissione. Tensioni, preoccupazioni, paure e anche reciproche insofferenze di mondi diversi e opposti. In Transatlantico i parlamentari della sua corrente attribuiscono a Orlando una battuta fulminante: “È complicato tenere assieme socialismo europeo e grillismo pugliese”. Effettivamente ieri, dopo l’intervento di Emiliano in direzione, con voce rotta e accompagnato da un vistoso “dammi il cinque” a Renzi, cellulari e mail dei bersaniani sono stati inondati: “Scandaloso”, “questo è peggio di Renzi”, “non ci possiamo affidare a uno così”. Roberto Speranza si è dovuto precipitare a via Barberini, sede della Regione Puglia a Roma, per spiegargli che così è difficile. E mettere nero su bianco un comunicato “Renzi ha scelto la scissione”, dal sapore definitivo ma che definitivo non è, per Emiliano.

Il governatore della Puglia, terra di Taranta e di astuzie levantine, ha trasformato questa attesa già in una campagna per sé, personalistica, grillina, dove i confini tra furbizia e tradimento sono labili sotto i riflettori di questi giorni. Nell’ultima settimana, nell’ordine, ha pranzato con Silvio Berlusconi (come ha raccontato il Corriere, attraverso una firma sempre affidabile) anche se lo ha smentito. Poi, nella famosa manifestazione di Testaccio, quella di Bandiera Rossa, è stato accolto da capo e da capo ha parlato, attaccando Renzi e quelli attorno al suo “capezzale”, per poi dire che Bersani sì che rispettava una comunità. Applausi che è venuta già la sala. Dialogante con Berlusconi, cuore rosso con Ditta, dopo tre ore su un Suv è arrivato al congresso di Sinistra Italia, proprio mentre Arturo Scotto stava concludendo il suo discorso della vita. Lo saluta col give me five poi nell’intervento, consapevole di non essere amato dalla sala, prova a conquistarla lodando il partito che Scotto sta lasciando: “Nichi (Vendola, ndr) sai che ti ho sempre stimato”, “Sei un padre politico per me”, “spero che tuo figlio Tobia mi chiami zio Michele”.

Alla Fondazione ItalianiEuropei sono arrivate valanghe di messaggi, dopo il successivo give me five con Renzi: “Siamo all’avanspettacolo”, “è inaffidabile”. Imperturbabile e inappuntabilmente se stesso, col Pd già alle spalle, il lìder maximo ha suggerito un po’ più di coordinamento politico, da affiancare all’instancabile Roberto Speranza. Che, in questa scissione fatta anche di Narcisi da non ferire, con discrezione e senza enfasi è andato a parlare a Milano con Pisapia, per mettere le basi di un dialogo comune.

Al fondo, oltre alla differenza antropologica tra socialisti europei e grillismo pugliese, c’è anche un gioco politico, sapiente, del governatore della Puglia. Timoroso di poter diventare solo il volto nella mani dei manovratori “comunisti” D’Alema e Bersani, si arrabbia quando legge sui giornali notizie dei gruppi – per la serie: e chi lo ha deciso? – si fa corteggiare, prepara al tempo stesso il suo ingresso nel nuovo partito da leader ma, al tempo stesso, parla con gli altri. A Speranza spiega che ha parlato in quel modo a Renzi per stanarlo, perché così si capisce che è lui che rompe. Poi scambia qualche parola con Guerini, con Franceschini, con tutti: “Io non voglio rompere, però serve un segnale…”.

Nel labile confine tra astuzia e tradimento, che induce Renzi a non dare per scontato il suo addio e strema gli altri, è coccolato, cercato, blandito: “Michele sai che spettacolo le primarie tra te e Renzi” gli dicono gli uni “Michele con te facciamo due cifre” dicono gli altri. Anche Andrea Orlando aspetta di vedere quale è lo schema. Tutti i suoi parlamentari, in questi giorni, lo spingono a sfidare l’ex premier. Ma non solo. Lo schema è quello di allargare: “Se non si candidasse Orlando – dice un parlamentare a lui vicino – quello che dice Bersani sarebbe un fatto, il Pd sarebbe il partito di Renzi. La sua candidatura potrebbe unire, da Cuperlo a pezzi di cattolici, ma anche veltroniani, Zingaretti, Chiamparino…”. Però, prima si deve capire cosa farà Emiliano. I sondaggi dicono che, se c’è lui in campo, non conviene: vince Renzi, Michele è attorno al 30; se non c’è, c’è spazio. Il tempo grillino è duro per tutti i socialisti europei.

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