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di Luca Billi, 17 settembre 2018
Chiara ha l’età per essere mia figlia, anzi sono io che sono abbastanza vecchio da poter essere suo padre. Immagino che sarei fiero della sua bellezza, del fatto che – anche se per me rimarrebbe sempre una bambina – è già bella come una donna; temo sarei uno di quei padri che riempiono la propria bacheca su Facebook di foto della figlia.
Poi sarei anche un padre preoccupato, probabilmente così preoccupato da diventare rompicoglioni. Sarei preoccupato proprio perché è bella, perché vedo che nella nostra società una persona – e specialmente una donna, una giovane donna – viene valutata solo in merito a quanto lunghe siano le sue gambe o prosperosi i suoi seni. Perché vedo che per lei ci sono pochissime – o meglio quasi nessuna – opportunità di affermarsi, di far valere la propria intelligenza, la propria determinazione, le proprie capacità, al di là della sua bellezza. Probabilmente vorrei che se ne andasse il prima possibile dall’Italia, non perché consideri gli altri paesi dei paradisi, ma perché il nostro fa davvero schifo.
Tra i molti auguri che avrei fatto a mia figlia non ci sarebbe certo stato quello di partecipare a un concorso di bellezza, di diventare una miss. Poi immagino anche che, una volta che lei avesse deciso, non l’avrei ostacolata.
Quel concorso in fondo è un gioco, o almeno così dovrebbe essere considerato, una cosa poco seria, una cosa da raccontare un giorno ai figli e ai nipoti. Quel concorso non mi piace – e per questo non avrei voluto che Chiara partecipasse – non perché le fa sfilare in costume da bagno, non perché alimenta un vouyerismo morboso; ovviamente sono cose che non mi piacciono – per nessuna, figurarsi per mia figlia – ma confido che lei sia abbastanza intelligente e forte da tenere lontani questi figuri. No, questo concorso – come tutti i mille concorsi che si svolgono nel nostro paese – non mi piace perché alimenta l’idea perversa che sia il solo mezzo attraverso cui si possa raggiungere il successo e soprattutto che il successo sia l’unico obiettivo a cui può ambire una giovane donna.
Io avrei voluto insegnarle – e se non ci sono riuscito è evidentemente colpa mia – che nella vita ci sono cose più importanti e che sta a lei scoprirle e realizzarle. Le avrei voluto insegnarle che si può anche avere successo, che si può diventare famosi, ma che per farlo occorre studiare e lavorare, che non basta mettersi lì e sbattere gli occhi e far vedere le cosce. Immagino sarebbe stato complicato, visto che è quello che vedono ogni giorno i nostri figli, quello che gli insegnano. Basta esserci, nel posto giusto al momento giusto e magari con la persona giusta, e ovviamente si può fare di tutto per esserci, anche cedere a lusinghe o ricatti. Per questo alla fine la sua bellezza finisce per preoccuparmi.
Ah, quasi me ne dimenticavo, uno dei motivi per cui sono così fiero che Chiara sia mia figlia è perché è “storpia” e perché ha imparato a fare tutto con quella sua gamba “bionica” e perché va in giro a spiegare alle altre ragazze che si può fare, che si può fare tutto anche senza una gamba o un braccio. Per questo vincerà il concorso? Potrebbe essere. Ed è uno dei motivi che detesto questa società in cui stiamo facendo crescere lei e le sue coetanee, perché siamo arrivati al punto che vincere è così importante che qualcuno pensa che una persona farebbe di tutto per farlo, anche tagliarsi una gamba. In fondo – penserà qualcuno – Chiara è fortunata: non deve andare a letto con il Weinstein di turno, le manca una gamba. Io voglio che mia figlia non debba nemmeno pensare che questo è l’unico modo per una donna di emergere o perfino di lavorare e che consideri quella sua gamba “strana” per quello che è, non qualcosa da esibire, ma uno strumento che la fa vivere.
Non voglio che mia figlia diventi una miss, mi basta che sia una donna.