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di Luca Billi, 29 giugno 2018
“Non esiste più l’Emilia rossa”. Questa frase è certamente vera: i risultati elettorali di domenica 24 giugno, con la vittoria della candidata del M5s, sostenuta dalla Lega, a Imola – che pure è in Romagna, ma ha tante affinità con la mia terra – servono solo a confermare qualcosa di cui ormai siamo tutti consapevoli. Si tratta di un dato incontrovertibile. Mi rendo conto però che questa frase ha un significato diverso a seconda di chi la pronuncia. Per me ha un valore particolare perché io ho conosciuto l’Emilia rossa, io so cosa vuol dire questa espressione, e quindi sento di aver perduto qualcosa, è qualcosa che mi manca. Capisco che per tanti di voi – anche di voi che vivete in questa terra – questa frase suona diversa, perché non l’avete mai vista, non è qualcosa che avete perso.
Io sono stato fortunato ad avere questa opportunità; ma intanto ho cinquant’anni – e questo esclude già i più giovani – poi sono nato e cresciuto in Emilia, da genitori emiliani, e in provincia, dove certi cambiamenti arrivavano, specialmente alcuni decenni fa, più lentamente e più tardi che nelle città – e questo esclude un’altra bella fetta di voi – infine ho avuto l’occasione, per il particolare lavoro politico che ho svolto, di conoscere molto bene una generazione di donne e di uomini, che erano stati protagonisti attivi di una stagione politica, che quindi ho conosciuto di riflesso, grazie a loro – e questo taglia fuori quasi tutti temo. Di mio ho messo una particolare attenzione – che ho sempre avuto e che cerco di coltivare anche ora che ho smesso di fare politica – per la memoria.
Credo che la cosa importante da capire è che quando noi che l’abbiamo conosciuta – e tanto più quelli che l’hanno fatta vivere nei suoi anni più gloriosi – parliamo di Emilia rossa, non ci riferiamo a un dato strettamente politico, che pure era estremamente evidente: in questa regione il Pci aveva una forte maggioranza, guidava le amministrazioni di città e di paesi, dalla montagna alla bassa. Ma non è questione di mettere le bandierine su una carta, bandierine che ovviamente possono cambiare colore. Quando parliamo di Emilia rossa vogliamo raccontarvi una terra in cui la partecipazione politica era un tratto essenziale del vivere la società, in tutti i suoi aspetti, e in cui la solidarietà era espressione di questa forte passione politica.
Ed era qualcosa che coinvolgeva non solo il nostro partito. Scusate se faccio l’esempio delle feste di partito, ma sapete quanto il tema mi sia caro. Quando io ero un bambino, nei primi anni Settanta a Granarolo, un paese piccolo, più piccolo di quanto sia ora, il Pci faceva sei feste, una per ogni frazione e la comunale, ma facevano le loro feste – non sei ovviamente, ma una sola – anche i socialisti e i democristiani, perché quello era lo spirito che animava, anche nel suo aspetto più gioiosamente ludico, quella piccola comunità, che si riconosceva ancora contadina, per quanto ormai fortemente industrializzata, seppur nella dimensione delle piccole e piccolissime aziende.
Certo il colore dominante era il rosso – a Granarolo nelle politiche del 1972 il Pci aveva il 60,3%, il Psi l’8,9% e il Psiup il 4% – ma quel clima di partecipazione coinvolgeva tutti: in quelle stesse elezioni andò a votare il 97,2%. La politica era un elemento che faceva crescere la comunità, anche individualmente, perché la politica era anche un’agenzia formativa. E naturalmente la politica coinvolgeva tutti gli aspetti della vita di quei piccoli territori perché le persone che erano attive nel sindacato, nel mondo cooperativo, nelle associazioni sportive, nei circoli ricreativi, erano gli stessi che animavano la vita delle sezioni.
Era anche una comunità chiusa, che viveva la propria diversità rispetto al contesto nazionale – dove invece i democristiani erano la maggioranza – con un orgoglio da assediati, era una società in cui non era sempre facile vivere, perché ovviamente risentiva del conformismo dell’epoca, per cui ad esempio quasi nessuno di noi è scampato dall’andare a catechismo, perché era brutto non fare la prima comunione. Poi non facevi la seconda e tornavi in chiesa solo con i piedi in avanti. Il nonno che non ho conosciuto era un comunista, ma nella sua piccolissima comunità suonava le campane, perché era bravo, davvero bravo, a suonarle, era un modo in cui un contadino che sapeva a mala pena fare la propria firma esprimeva il proprio valore, che la comunità gli riconosceva.
In Emilia esistono ancora alcune partecipanze agrarie. Si tratta di un istituto medievale, che definisce le regole di assegnazione delle terre da coltivare, spesso derivate da grandi lavori di bonifica, che rimangono però di proprietà collettiva e indivisa. E’ qualcosa che viene dal tempo dei feudi, secoli prima di Marx, eppure è uno dei modi in cui questa terra ha espresso il suo essere socialista. E’ questo spirito comunitario e solidale che rendeva rossa l’Emilia.
E poi c’è la lotta, l’idea che i diritti vanno conquistati e difesi, anche con il sacrificio. Nell’aggettivo greco rysios , da cui, attraverso il latino, deriva l’italiano rosso, gli etimologisti riconoscono una radice che nel sanscrito, l’antica lingua indoeuropea, ritroviamo nella parola che indica il sangue. E’ il sangue che dà il nome al colore. Ed è il sangue dei braccianti e dei contadini che lottavano contro gli agrari, degli operai che scioperarono nel “biennio rosso”, delle donne che chiedevano un futuro migliore per i propri figli, dei partigiani che si batterono contro il fascismo, delle donne e degli uomini uccisi a Monte Sole, che ha colorato le bandiere di questa terra. La memoria cresce con il sangue di queste donne e di questi uomini e queste lotte sono diventate un tratto di questa terra, tanto da segnarne la storia. E infatti la memoria era gelosamente custodita dalle generazioni che vennero dopo, anche con l’inevitabile rischio della retorica.
Credo di aver già raccontato in altri articoli come la nostra inadeguatezza, la nostra incapacità di analisi, il nostro piegarsi alla trionfante ideologia capitalista, ci abbia portato fino a qui, in un processo durato molti anni. E comunque non era mia intenzione raccontarvi in questa occasione la caduta, né quello che siamo diventati – lo avete sotto gli occhi tutti i giorni – né come lo siamo diventati. Voglio solo provare a spiegarvi quanto io trovi inadeguata quell’espressione con cui ho cominciato questo articolo, se riferita all’oggi. Da un punto di vista politico mi può interessare capire di che colore siano quelle bandierine che mettiamo sopra ogni territorio dopo una tornata elettorale e perfino provare a capire di quale colore saranno alla prossima. Ma non sarà più il colore di quelle bandierine, anche se tornasse in una qualche tonalità di rosso, a raccontare questa terra. Perché non è la politica che plasma una comunità, ma allora era la comunità che diventava politica, che dava il proprio colore alla politica. E questa comunità non tornerà mai più quella che alcuni di noi hanno visto, perché sono cambiate davvero troppe cose, siamo cambiati noi, in peggio, spesso molto in peggio, perché quell’idea di partecipazione solidale non c’è più. Non esiste più l’Emilia rossa, perché quelle generazioni di donne e di uomini non ci sono più e noi non saremo mai capaci di prenderne il posto, e temo che nessuno ne sarà mai capace.