Non è una ragazzata

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
Url fonte: http://ipensieridiprotagora.blogspot.it/2016/06/verba-volant-286-ragazzata.html

di Luca Billi  30 giugno 2016

Ogni stupro è una ferita dolorosissima, ma ci sono ferite che fanno, se possibile, ancora più male di altre. Lo stupro di una ragazza adolescente da parte di cinque suoi coetanei è una di queste. Qualcosa che dovrebbe interrogarci ancora di più, che dovrebbe costringere tutti noi a riflettere. E ad agire finalmente.

La mattina in cui è stata data la notizia mi è capitato di ascoltare un servizio del giornale radio. Dopo aver raccontato quello che è avvenuto, il giornalista ha intervistato il parroco del paese in cui è successo. Immagino che non sia facile rispondere a domande del genere, in un momento del genere, ma quel prete è stato davvero inadeguato. Non ha detto una parola sulla ragazza, che è la vittima, che ha sofferto un dolore indicibile, che ha subito qualcosa che temo la segnerà per sempre, ma che ha anche avuto un coraggio che molte sue coetanee non hanno. A quella ragazza dobbiamo la nostra solidarietà, in ogni occasione, anche per le offese che ha ricevuto e riceve a causa di questa sua coraggiosa denuncia. Invece si è dilungato sui colpevoli, con parole di circostanza, ha detto che vengono da famiglie “normali” e che quindi non si sa spiegare le ragioni di quel gesto. Le ragioni sono difficili da spiegare per chiunque e probabilmente due battute durante un’intervista non sono l’occasione più propizia per farlo, però qualcosa in più – e di diverso – occorre dirlo. Se qualcuno avesse acceso la radio in quel momento avrebbe potuto pensare che quei cinque “bravi” ragazzi – qualcuno di loro aveva fatto la prima comunione proprio in quella parrocchia, ha precisato il povero prete – fossero le vittime di qualche disgrazia. Evidentemente in una situazione del genere non è facile neppure fare le domande e francamente anche quel giornalista è stato inadeguato: in genere una risposta banale segue a una domanda banale.

Non conosco quel prete, magari è anche consapevole della situazione in cui vive la sua comunità, magari ha anche attivato delle iniziative per far crescere una diversa cultura dei rapporti tra uomini e donne, tra giovani uomini e giovani donne, magari è un ottimo parroco e questa mia critica può essere ingiusta e ingenerosa, però quelle sue parole – immagino dettate dalla buona fede – sono il segno di una sconfitta. Anzi il fatto che siano state dette in buona fede rende quelle parole ancora più gravi. Quelle parole sono il segno che per larga parte della nostra società quel delitto è ancora inspiegabile, tanto più inspiegabile se fatto da persone “normali”. Invece quel delitto è spiegabile, spiegabilissimo. Quel delitto nasce nella cultura di noi maschi – e delle donne che hanno educato noi maschi – nell’idea che le donne siano un oggetto, nell’assoluta mancanza di una qualsiasi forma di educazione alla sessualità e al rapporto tra donne e uomini.

Quel prete avrebbe dovuto interrogarsi – anche pubblicamente – sulla sue responsabilità, sulla responsabilità dell’agenzia educativa che lui dirige. E naturalmente maggiori responsabilità hanno le altre agenzie educative frequentate da quei ragazzi: la scuola prima di tutto, le associazioni sportive e tutti quelli che in qualche modo hanno contribuito alla formazione di quei ragazzi. In questi giorni credo che molte persone dovrebbero chiedersi non solo cosa non hanno fatto per impedire quello stupro, ma soprattutto cosa hanno fatto affinché avvenisse. Saremo condannati non perché non potevamo sapere, non potevamo fermare una violenza che non sapevamo dove e quando si sarebbe scatenata, ma perché abbiamo educato quei ragazzi ad agire come hanno agito. E questa responsabilità pesa naturalmente più di tutto sulle famiglie, su quelle famiglie “normali”: dietro quei cinque ragazzi ci sono cinque famiglie che hanno cresciuto così i loro figli.

Riconoscere che le responsabilità sono di altri, anche di altri, non significa deresponsabilizzare quei cinque ragazzi che certamente erano consapevoli di quello che stavano facendo, ma capire che se vogliamo che episodi del genere non si ripetano occorre uno scatto culturale ed educativo di cui purtroppo non si vedono neppure i primi segnali. Quando quei genitori dicono che si è trattato di una ragazzata non difendono i loro figli, difendono se stessi, cercano di non essere accusati di un delitto che comunque peserà sempre su di loro. E pesa anche su di noi, perché quella giovane donna, come tutte le donne che subiscono violenza, è una vittima della violenza che c’è nella nostra società, è vittima del nostro maschilismo, della nostra paura delle donne, della nostra incapacità di vivere il sesso in maniera normale, per quella cosa bella che è.

E la sessualità è qualcosa che cominciamo a imparare appunto quando siamo ragazzi. Non è una ragazzata quello stupro, anzi è proprio il contrario: è il segno che quegli adolescenti sono cresciuti troppo in fretta, e sono cresciuti male, che li abbiamo cresciuti male. Ciascuno di noi scopre il sesso in maniera diversa, con un misto di curiosità, di attesa, di ansia, è qualcosa che fa parte della storia personale di ciascuno di noi, anche con gli errori che abbiamo fatto, quelle sì ragazzate, le cose fatte senza consapevolezza, quando ancora non sai e non capisci. Quei ragazzi non hanno più nulla da scoprire, anzi hanno scoperto solo la parte peggiore, perché intorno a loro hanno visto solo quella. Abbiamo fatto vedere loro solo quella. Dobbiamo cominciare a far loro conoscere quella più bella. Adesso, subito, altrimenti domani saremo qui a piangere il dolore di un’altra giovane donna. Sarà fatica, ma lo dobbiamo a lei, alle giovani donne come lei, alle nostre figlie, alle donne a cui vogliamo bene. E anche a quelle che non conosciamo. Lo dobbiamo al nostro essere donne e uomini.

ringrazio Mary Corradi (Maryko-Rrady) per la foto

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