Non c’è sinistra nella gabbia dell’euro

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Stefano Fassina
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://www.stefanofassina.it/lavoroeliberta/2015/07/17/non-ce-sinistra-nella-gabbia-delleuro/

di Stefano Fassina – pubblicato su Il Manifesto del 17 luglio 2015

Sulla bru­ciante vicenda greca, par­tiamo dai con­te­nuti dello «Sta­te­ment» dell’Eurosummit del 12 luglio scorso, prima di fare valu­ta­zioni poli­ti­che. È impos­si­bile nascon­derne l’insostenibilità eco­no­mica e di finanza pub­blica. Le misure impo­ste sono bru­tal­mente reces­sive, oltre che regres­sive sul piano sociale, nono­stante gli aggiu­sta­menti con­qui­stati dalla dele­ga­zione greca a Bru­xel­les. Gli inter­venti di com­pen­sa­zione macroe­co­no­mica sostan­zial­mente ine­si­stenti. I finan­zia­menti pre­vi­sti per il sal­va­tag­gio sono dedi­cati alla rica­pi­ta­liz­za­zione delle ban­che e al paga­mento dei debiti verso Bce, Fmi e cre­di­tori privati.

Nulla va alla spesa in conto capi­tale. Men­tre la cre­di­bi­lità della Com­mis­sione euro­pea a aiu­tare il governo greco a mobi­li­tare in 3–5 anni fino a 35 miliardi di euro per inve­sti­menti va pesata in rela­zione all’incapacità di repe­rire le risorse minime per il Piano Jun­ker. Infine, la pro­messa di valu­tare la soste­ni­bi­lità del debito pub­blico apre una pro­spet­tiva comun­que priva di rica­dute reali fino al 2023, ter­mine del grace period con­cesso dagli Stati euro­pei sui rispet­tivi crediti.

Quali lezioni trarre dalla para­bola greca? Ale­xis Tsi­pras, Syriza e il popolo greco hanno il merito sto­rico, inne­ga­bile, di aver strap­pato il velo della reto­rica euro­pei­sta e della ogget­ti­vità tec­nica steso a coprire le dina­mi­che nell’eurozona. Ora si vede la poli­tica di potenza e il con­flitto sociale tra ari­sto­cra­zia finan­zia­ria e classi medie: la Ger­ma­nia, inca­pace di ege­mo­nia, domina l’eurozona e porta avanti un ordine eco­no­mico fun­zio­nale al suo inte­resse nazio­nale e agli inte­ressi della grande finanza.

In tale con­te­sto, i punti da affron­tare sono due. Il primo: il mer­can­ti­li­smo libe­ri­sta det­tato e imper­niato su Ber­lino è inso­ste­ni­bile. La sva­lu­ta­zione del lavoro, in alter­na­tiva alla sva­lu­ta­zione della moneta nazio­nale, come unica strada per aggiu­sta­menti “reali” deter­mina cro­nica insuf­fi­cienza di domanda aggre­gata, ele­vata e per­si­stente disoc­cu­pa­zione, defla­zione e rigon­fia­mento dei debiti pub­blici. In tale qua­dro, l’euro esige, oltre i con­fini dello Stato-nazione domi­nante, lo svuo­ta­mento della demo­cra­zia e la poli­tica come ammi­ni­stra­zione per conto terzi e intrattenimento.

Tale qua­dro è rever­si­bile? Ecco il secondo punto. È dif­fi­cile rispon­dere sì. Pur­troppo, le neces­sa­rie cor­re­zioni di rotta per ren­dere soste­ni­bile l’euro appa­iono impra­ti­ca­bili per ragioni cul­tu­rali, sto­ri­che e poli­ti­che. Le opi­nioni pub­bli­che nazio­nali hanno posi­zioni con­trap­po­ste, allon­ta­nate ancor di più dall’agenda impo­sta dopo il 2008. Le posi­zioni pre­va­lenti nel popolo tede­sco sono un fatto. In Ger­ma­nia, come ovun­que, i prin­cipi demo­cra­tici rile­vano nell’unica dimen­sione poli­tica rile­vante: lo Stato nazione.
Dai primi due punti di ana­lisi deriva una agra verità: nella gab­bia libe­ri­sta dell’euro, la sini­stra, intesa come forza impe­gnata per la dignità e la sog­get­ti­vità poli­tica del lavoro e per la cit­ta­di­nanza sociale come vei­colo di demo­cra­zia effet­tiva, perde senso e fun­zione sto­rica. È morta. La mar­gi­na­lità o la con­ni­venza dei par­titi della fami­glia socia­li­sta euro­pea sono mani­fe­ste. Con­ti­nuare a invo­care gli «Stati Uniti d’Europa» o la «riscrit­tura pro-labour» dei Trat­tati è un eser­ci­zio astratto, vet­tore di auto­re­fe­ren­zia­lità e di allon­ta­na­mento dal popolo.
Che fare? Siamo a un bivio sto­rico. Da una parte, la strada della con­ti­nuità vin­co­lata all’euro, ossia della ras­se­gna­zione alla fine delle demo­cra­zia delle classi medie oppure dell’illusione di «svol­te­buone»: un equi­li­brio pre­ca­rio di sot­tooc­cu­pa­zione e di rab­bia sociale, minac­ciato da rischi ele­va­tis­simi di rot­tura. Dall’altra, il supe­ra­mento con­cor­dato, senza atti uni­la­te­rali, della moneta unica e del con­nesso assetto isti­tu­zio­nale, innan­zi­tutto per il recu­pero dell’accountability demo­cra­tica della poli­tica mone­ta­ria: un per­corso imper­vio, incerto, dalle con­se­guenze dolo­rose almeno nel periodo iniziale.

La scelta è dram­ma­tica. Fare l’euro è stato un errore di pro­spet­tiva poli­tica. Siamo stati inge­nui o, peg­gio, incon­sa­pe­voli degli effetti di mar­gi­na­liz­za­zione della poli­tica impli­cati nei Trat­tati. Oggi la strada della con­ti­nuità è opzione espli­cita dei Par­titi della Nazione o delle grandi coa­li­zioni a guida con­ser­va­trice. È anche per­corsa invo­lon­ta­ria­mente e con­trad­dit­to­ria­mente da chi in Ita­lia si mobi­lita con­tro il Jobs Act ma giu­sti­fica, in nome del «no Gre­xit», l’attuazione dell’Agenda Monti in ver­sione esi­ziale a Atene. La strada della discon­ti­nuità può essere l’unica per ten­tare di costruire una forza poli­tica in grado di ria­ni­mare la Costi­tu­zione della «Repub­blica demo­cra­tica, fon­data sul lavoro». La scon­fitta subita dal Governo Tsi­pras, e da noi a suo soste­gno, dovrebbe can­cel­lare l’illusione dell’inversione di rotta lungo la strada della con­ti­nuità. Il tenace attac­ca­mento all’illusione dovrebbe almeno scon­si­gliare avven­ture poli­ti­che oltre il Pd.

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