Fonte: huffingtonpost
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di Stefano Fassina 5 dicembre 2016
Non è bastato un Si. Ma come acutamente scritto nella vignetta a caldo di Mauro Biani per Il Manifesto, “non basta nemmeno un No”. La partecipazione al voto è stata, ovunque, straordinaria per un referendum.
Certo, nel voto sono ingarbugliati sentimenti diversi, anche contraddittori, ma uno è riconoscibile sugli altri: il patriottismo costituzionale, espresso innanzitutto con un messaggio chiaro per l’oggi e per eventuali ulteriori incauti tentativi domani; i principi fondativi della comunità non sono a disposizione del governo di turno, in particolare quando è frutto di una minoranza nel Paese, resa maggioranza parlamentare da una legge elettorale incompatibile con la democrazia costituzionale.
Il popolo del No è, in prima approssimazione, il popolo delle periferie sociali e economiche, oltre che territoriali. È il popolo degli esclusi. La valanga di No arriva a quasi il 70% tra i più giovani. Non sono conservatori. Ma hanno capito che da almeno 20 anni “riforma” vuol dire, nel Newspeak neo-liberista, regressione e “cambiamento”, dietro le scintillanti slides, è peggioramento.
L’establishment politico, economico, finanziario e culturale, perno della sempre più ristretta schiera dei garantiti, chiedeva un “Si per la stabilità” a vite precarie. Stordito dal colpo, ancora una volta, rimuove la profondità dei problemi e tenta di esorcizzarli attraverso l’etichettatura di “populismo”. Domenica 4 Dicembre vi è stato uno tsunami politico, ma era largamente annunciato: dalle elezioni regionali e amministrative in Italia, prima che dalla Brexit, dalle elezioni negli Stati Uniti e dalle tornate elettorali degli ultimi in tanti paesi europei.
Nonostante le letture strumentali degli sconfitti e di tanti impenitenti commentatori sempre più distanti dalla realtà, nel fronte del No la presenza della sinistra è stata larga e incisiva. L’anpi, più volte aggredita, ha dato senso politico al voto per la Repubblica democratica nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. Poi, la scelta di campo, composta e motivata, della Cgil. L’Arci, capofila di un’associazionismo diffuso portatore di straordinario capitale civico. Insieme, un Comitato Nazionale per il No presieduto da Gustavo Zagrebelsky, partecipato dalle figure più significative del costituzionalismo democratico italiano.
E una miriade di comitati per il No sorti spontanei su tutto il territorio nazionale, anche nei comuni più piccoli, animati da una generazione impegnata per la solidarietà all’altro e l’altra, l’uguaglianza, la dignità del lavoro, la riconversione ecologica, oltre che da una messe di donne e uomini senza più patria a sinistra. Il patriottismo costituzionale si è manifestato sia sulla necessità della condivisione della riscrittura delle regole del gioco, sia sugli obiettivi programmatici scritti nella prima parte della nostra carta.
Un No agli strappi della maggioranza di turno e un No al Jobs Act, all’intervento regressivo sulla scuola, sull’ambiente, sul sistema radiotelevisivo pubblico. È, pertanto, incredibile, nonostante il voto, la continuità autoreferenziale con la fase pre-voto: l’unica preoccupazione è quale governo rimettere in pista per portare avanti un’agenda insostenibile, sonoramente bocciata dagli elettori. Invece, il punto principale è una radicale inversione del programma economico e sociale dominante nell’euro-zona.
Qui, a sinistra, va affrontato un tabù: l’euro rende impraticabile il riavvio del programma costituzionale richiesto con passione dal nostro popolo. Dobbiamo riconoscerlo: l’euro è stato un errore politico di portata storica in quanto profondamente contraddittorio con i nostri principi costituzionali, così come è profondamente contraddittorio il mercato unico, ulteriormente aggravato dall’allargamento della UE a est, senza standard sociali e ambientali.
Non stupisce che gli ulivisti ancora orgogliosi dell’euro fossero prevalentemente sul fronte del Si, come l’esaurita famiglia dei Socialisti europei, i governi della UE, la Commissione e tanti miopi grandi interessi finanziari: la sopravvivenza del Trattato e della moneta fondate sulla svalutazione del lavoro necessitano di una democrazia senza popolo. Al contrario, la rivitalizzazione della Costituzione richiede un Piano B per il superamento cooperativo, senza atti unilaterali, dell’euro.
Ora, sulla base di una lettura adeguata e di un programma in netta discontinuità con l’impianto programmatico del centrosinistra dell’ultimo quarto di secolo, il compito decisivo è consolidare e “dare una casa” alle straordinarie energie protagoniste del “No progressivo”. Insieme, dobbiamo capire come avviare un percorso costituente per una forza politica dalla parte del popolo delle periferie. È evidente che tutti i percorsi in campo sono insufficienti.