Fonte: La stampa
Nomine, strani furti e 007: Meloni e lo spettro del complotto
I sospetti della premier su mondi che fanno riferimento a faccendieri ed ex agenti. incomprensioni col ministro della Difesa sui rinnovi a Leonardo, Finanza e intelligence
«Sì, mi fido ciecamente di Alfredo Mantovano e di Elisabetta Belloni». Se le rivolgessero la stessa domanda sul ministro della Difesa Guido Crosetto, molto probabilmente Giorgia Meloni, in tutta sincerità, non risponderebbe con altrettanta nettezza, come fa quando difende il sottosegretario con delega ai servizi, e l’ambasciatrice che dirige il Dis, il dipartimento sotto la presidenza del Consiglio che coordina le due agenzie di intelligence, Aisi (interna) e Aise (esterna).
Di certo, quando ne ha parlato privatamente, con collaboratori ed esponenti politici a lei vicini, la premier ha detto cosa pensa del ministro della Difesa. Gli vuole bene, a lui deve molto, perché con Crosetto ha fondato Fratelli d’Italia e il piemontese è l’anima liberale che ha disincagliato il partito dalle secche nostalgiche post-fasciste, ma qualche perplessità le rimane. E questi mesi – scanditi da inchieste sui dossieraggi operati da 007 e finanzieri, nomine ai vertici delle partecipate e poi dei servizi segreti, complotti evocati senza prove, cospirazioni nate e consumate nel fuoco di una torrida giornata agostana, donne capaci di far franare i nervi del ministro della Cultura, poliziotti allontanati – sono stati mesi che hanno piano piano allargato la distanza tra Meloni e Crosetto a colpi di incomprensioni. E fatto emergere le ansie della premier su un potenziale complotto ai suoi danni.
È una storia complicata, questa. Per forza di cose incompleta, come tutto ciò che origina da zone buie, quando nelle istituzioni difetta la trasparenza, fa capolino l’inquietudine e chi è a capo di quelle istituzioni lancia accuse senza nomi, abbozza scenari opachi di ricatto senza pubblicamente indirizzare i sospetti. Ma questa storia è soprattutto il racconto di una grande paura. La paura, più volte espressa da Meloni (ma anche da Crosetto) di essere al centro di una oscura trama, tessuta dalle mani di un piccolo gruppo di agenti infedeli e faccendieri, che punta a indebolire la leader, la sua cerchia più stretta e di conseguenza l’intero governo. Tutto quello che raccontiamo è costruito sulle confidenze di diverse fonti, molto autorevoli, di Palazzo Chigi, dei partiti di maggioranza, delle partecipate di Stato, di lobbisti che lavorano a stretto contatto con l’esecutivo e dei servizi di intelligence.
Al centro ci sono le nomine. E una coincidenza che sarebbe stata notata da Meloni. Leonardo, Guardia di Finanza, servizi segreti: ogni volta che il governo procedeva al rinnovo dei vertici è successo qualcosa che ha colpito l’attenzione della premier. Tutto va declinato al condizionale, tranne i fatti. Che bisogna cucire tra di loro, anche se sembrano apparentemente lontani. Alcuni risaputi, altri no. È cronaca, ad esempio, che nella notte tra il 30 novembre e il 1 dicembre la scorta di Meloni, sotto casa della premier, ferma due uomini che armeggiano attorno all’auto dell’ex compagno Andrea Giambruno. La notizia viene rivelata dal Domani solo ad aprile. Meloni è scossa. E lo sarà altre due volte: quando avverrà un furto nella casa di fronte alla sua vecchia abitazione, e quando poi un altro furto si ripeterà accanto alla nuova.
Nel frattempo, nel corso dei mesi, il governo procede alle nomine. Il primo screzio tra Crosetto e Meloni c’è stato nell’aprile 2023: il ministro della Difesa vorrebbe Lorenzo Mariani come amministratore delegato di Leonardo, ma Meloni insiste con l’ex ministro Roberto Cingolani. Un anno dopo il duello si ripete sul numero uno dell’Aisi: Meloni sceglie Bruno Valensise, sapendo che Crosetto aveva chiesto di assegnare la direzione del servizio segreto interno al vicedirettore Giuseppe Del Deo. Quest’ultimo il 9 agosto diventa vice del Dis, un ruolo non operativo, ma quasi amministrativo, non certo una promozione. Le date in questo racconto sono importanti, per quelle coincidenze che, come ci è stato riferito, ossessionerebbero la premier. Su queste nomine Crosetto ha le sue idee. Pensa che dietro le scelte di Meloni ci sia Mantovano, e d’altronde il sottosegretario è l’autorità delegata ai servizi. Dal quale Crosetto non ottiene gli accertamenti sperati, quando investe Palazzo Chigi della richiesta di verifiche sull’Aise, che il ministro accusa di non collaborare nell’ambito dell’inchiesta di Perugia sui presunti dossieraggi di un tenente della Finanza e di un agente segreto, in forza proprio ai servizi esterni. In questo duello, la premier ha scelto da che parte stare, e lo rivendica: «Mi fido ciecamente di Mantovano e Belloni».
Sullo sfondo di una dichiarazione del genere c’è in realtà altro: il sospetto che si fa spazio nella testa della leader e dei suoi uomini di fiducia su possibili manovre di una filiera che da ambienti collaterali ai servizi porta a faccendieri, a testate online e a profili social comparsi dal nulla, specializzati in segreti del Palazzo. Meloni vede una zona grigia e ha tre nomi in testa, da sempre. I suoi sospetti, confermano le nostre fonti, ricadrebbero (e mai come in questo caso è necessario usare cautela) sui mondi vicini a Luigi Bisignani, Marco Mancini e persino Matteo Renzi. Sugli ultimi due, è convinta che il legame tra l’ex agente segreto e l’ex premier non si sia mai interrotto, da quando sono stati immortalati assieme in un Autogrill, poco prima della fine del governo Conte II. In ambienti romani è poi nota la sua diffidenza verso Bisignani, uomo dalle mille vite, ex giornalista, affarista, tessitore eterno di nomine e relazioni. Ha scritto un libro: “I potenti al tempo di Giorgia” in cui racconta della «passione per gli 007» della presidente del Consiglio e di centinaia di utenze intercettate, tra le quali «anche qualche giornalista». Bisignani è ricomparso tre giorni fa su La7 dove – dopo il caso rivelato da La Stampa dell’allontanamento dei poliziotti in servizio davanti al suo ufficio a Palazzo Chigi – ha criticato le falle nel sistema che ha il compito di garantire la sicurezza della premier.
Meloni sa che la guerra di cordate, tra gli 007, è una tradizione italiana. Da inizio anno a oggi Meloni si fa sempre più sospettosa, e qualche volta la tesi del complotto trapela pubblicamente. A gennaio punta il dito contro chi «in questa nazione ha pensato di dare le carte», «affaristi, lobbisti e compagnia cantante». A metà agosto accredita il contenuto dell’articolo de Il Giornale, testata non ostile al melonismo, in cui si ipotizza un’inchiesta della magistratura come il cuore di una cospirazione contro Arianna, sorella della leader. Inchiesta smentita dalle procure. Meloni rilascia invece una dichiarazione in cui definisce «verosimile» la ricostruzione. Ma anche qui: non fa nomi né porta prove, nonostante nel mirino ci siano le toghe. Il giorno dopo si viene a scoprire che Palazzo Chigi e Fratelli d’Italia erano a conoscenza addirittura dalla sera prima dell’articolo che sarebbe uscito l’indomani, dove, tra l’altro, si allude genericamente a un ruolo del leader di Italia Viva Renzi nelle indagini. Passano pochi giorni e Arianna annuncia su Il Foglio la separazione dal marito Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura. È un colloquio che suona contraddittorio per chi – Arianna ma anche la premier – accusa i giornalisti di rimestare nel gossip, mentre affida a un quotidiano una rivelazione così intima.
Nei venti giorni successivi una donna, Maria Rosaria Boccia, che si scoprirà avere avuto già frequentazioni dentro FdI e aveva già provato ad agganciare Lollobrigida, porta alle dimissioni il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, di cui sarebbe stata l’amante per pochi mesi. È Arianna, tra gli altri, a chiedergli di allontanarla. Il 9 settembre, infine: La Stampa rivela che Meloni ha ordinato di allontanare due agenti dell’Ispettorato di Polizia in servizio a Palazzo Chigi, uno davanti al suo ufficio, al primo piano, l’altro nell’ascensore. Una decisione senza precedenti. La premier è stufa delle fughe di notizie, teme di essere spiata, e confida di fidarsi solo della sua scorta, guidata da Giuseppe Napoli, marito della capo segreteria, l’onnipresente Patrizia Scurti. È un uomo dell’Aisi, e ha attirato su di sé più di un malumore tra i poliziotti, che via via si sono sentiti marginalizzati nel dispositivo di sicurezza della presidente del Consiglio. Sembra di scorgere una faida interna alle forze dell’ordine e all’intelligence.