di Celeste Ingrao – 8 febbraio 2018
Un punto di non ritorno
In molti hanno – giustamente – ricordato Reggio Calabria. Anno 1972. Quando decine di migliaia di persone, chiamate dai sindacati, manifestarono contro i boia chi molla. In condizioni durissime. In una città dove si potevano vedere i cecchini sui tetti. Con i treni speciali che ci misero decine di ore per arrivare, perché dovevano marciare preceduti da un vagone civetta che verificasse che non ci fossero bombe sui binari.
Io c’ero a Reggio Calabria e il ricordo è rimasto indelebile. Non eravamo eroi senza macchia e senza paura. Facevamo semplicemente quello che ci sembrava normale fare.
E che tante altre volte avremmo fatto negli anni a venire. Gli anni delle Brigate Rosse e del terrorismo nero.
Non era forse smarrita, ferita e dolente Roma il 16 marzo 1978, il giorno del rapimento Moro? Ma nessuno pensò che la risposta a quello smarrito dolore, a quella paura, dovesse essere il silenzio, ognuno a casa sua. E poche ore dopo riempivamo San Giovanni. Anche se per entrare nella piazza bisognava aprire le borse e mostrarne il contenuto al servizio d’ordine. E il nostro sindaco – un distinto e gentile storico dell’arte – era in piazza con noi.
Forse è per la forza di queste memorie che quello che è successo, che sta succedendo, a proposito di Macerata, mi pare segni un punto di non ritorno.
Tanti sono stati in questi anni i punti di rottura, in quello che una volta consideravamo il nostro popolo. C’è stato il Jobs Act, c’è stata la Buona scuola, l’orrida controriforma costituzionale, la legge elettorale approvata a colpi di fiducia .. Ma una cosa pensavamo, ancora, di poter dare per scontata: che quando fosse stato necessario manifestare contro il fascismo e contro il razzismo ci saremmo ritrovati insieme, a marciare fianco a fianco.
Oggi questo ultimo confine è stato valicato. Oggi un partito che si dichiara di sinistra e che prova a proporsi come argine alle destre, è arrivato ad affermare – con un suo sindaco, con un suo ministro, con il suo segretario – che una grande, pacifica, unitaria manifestazione antifascista non deve svolgersi perché offende il dolore di una città smarrita. Perché rischia di turbare quell’ordine pubblico che è ormai l’unica misura valida delle cose.
Ci pensino i “padri nobili” del centrosinistra, i commentatori benpensanti che quotidianamente ci propongono le loro inutili geremiadi sulla nostra mancata unità. Ci pensino, perché il punto è dirimente: o si sta da una parte o si sta dall’altra. O si sta con chi è capace di vedere la bellezza, la forza e la necessità delle piazze antifasciste o si sta con chi pensa di risolvere il problema, se va bene, con qualche misura di polizia.