di Alfredo Luís Somoza 21 ottobre 2016
Quando le telecamere di tutto il mondo erano già pronte a riprendere la firma del primo grande accordo di libero scambio tra un paese americano e l’Unione Europea, ecco che a rischiare di far saltare la festa sono arrivati i valloni, un piccolo popolo che conosciamo grazie all’investigatore Poirot, Tintin e i Puffi, oltre che per ospitare il cuore politico dell’Unione Europea.
La Vallonia, cioè il Belgio francofono, è una delle due entità che la storia ha deciso di appiccicare tra loro a formare quel paese che si è dato il nome di Belgio, e che ospita la capitale dell’Europa. Tre milioni e mezzo di abitanti che in base all’assetto federale del Regno, conquistato grazie alle pressioni dei concittadini fiamminghi del Nord, hanno voce in capitolo sugli accordi internazionali.
Per questo i valloni rischiano ora di mandare a monte sette anni di negoziati tra Bruxelles e il Canada che hanno prodotto il Ceta, comprehensive economic and trade agreement: l’accordo che dovrebbe eliminare le barriere non tariffarie tra Canada ed Europa. Un trattato sostanzialmente simile a quello ancora più ambizioso tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, attualmente congelato.
Il Ceta, si diceva, avrebbe rappresentato la prova generale dell’altro negoziato. Ma la fragilità di questo genere di accordi, discussi dai governi nel massimo segreto, è che alla fine devono passare dalle forche caudine della democrazia, superando il voto dei parlamenti. Questo vale anche per il Tpp, l’accordo del pacifico tra Stati Uniti e 11 paesi dell’America Latina e dell’Asia, che è stato approvato ma ancora non ratificato dai vari parlamenti.
Nel caso del Ceta le cose sono state più complicate. Per motivi ignoti, infatti, la Commissione europea ha classificato l’accordo come “misto”, cioè di competenza sia del parlamento europeo sia dei parlamenti nazionali. E la Costituzione belga prevede che un accordo con queste caratteristiche possa essere approvato dal parlamento federale solo dopo il voto favorevole dei parlamenti regionali. Per la cronaca, oltre alla Vallonia anche la città di Bruxelles (entità a se stante) ha votato contro.
Il rifiuto dei valloni si inserisce nel quadro della lotta interna al Belgio tra i socialisti al potere nella regione francofona e il centrodestra alla guida del governo federale. Centrodestra che ha accusato i socialisti di voler trasformare la Vallonia nella Cuba d’Europa. Ovviamente la lotta per il socialismo non c’entra nulla. Piuttosto, il voto vallone fotografa il sentimento crescente degli europei nei confronti di una globalizzazione che oggi non si fa più a casa degli altri ma a casa nostra. È figlio della paura – a scoppio ritardato – di perdere una serie di certezze e di diritti acquisiti in passato, proprio com’è già successo in tante regioni del mondo che, all’apertura dei mercati, si sono trovate catapultate senza rete nella giungla della concorrenza mondiale.
Come di fronte alla Brexit, Bruxelles (in questo caso intesa come sede dell’Ue) non sa bene cosa fare. Il copione non prevedeva che un paese membro potesse respingere il primo accordo transatlantico. Addirittura è stata convocata d’urgenza una riunione dei ministri del Commercio europei per capire come chiudere comunque la partita, firmando definitivamente l’accordo il 27 ottobre in occasione del vertice europeo-canadese, che si è chiusa senza novità di rilievo.
Gli scenari che si aprono sono diversi e tutt’altro che rassicuranti. Da un lato si ripete la paralisi dell’Ue, che continua a essere sostanzialmente impotente, e lo rimarrà finché non le verrà trasferita una serie di competenze che gli Stati non vogliono delegare. Dall’altro, si rinnova il copione della prevaricazione messa in atto dai governi nazionali e dagli organismi europei nei confronti delle decisioni dei parlamenti: che sono, fino a prova contraria, espressione della volontà dei cittadini.
L’evoluzione di questa frattura andrà seguita con attenzione, perché da qui si potrà capire se il progetto europeo si baserà sul trasferimento di competenze e sul potenziamento del parlamento europeo oppure se l’Ue finirà per essere solo un circolo ristretto di funzionari senza mandato che, nel bene e nel male, poco potranno decidere ogniqualvolta vi sia bisogno di una legittimazione democratica.