Nell’autoanalisi del Pd manca una parola: corruzione

per Gabriella
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: I gessetti di sylos

di Giovanni La Torre – 27 agosto 2018

Dopo le reiterate batoste elettorali, in particolare dopo le ultime, è in corso intorno al letto del paziente Pd un dibattito di “volenterosi”, teso a far risollevare quel partito dallo stato di prostrazione (o di coma?) in cui versa. I recenti fischi di Genova, in contemporanea agli applausi riscossi dai rappresentanti dei partiti di governo, hanno accentuato la sollecitudine dei predetti volenterosi. Cacciari, Crainz, Ignazi, Urbinati, solo per citare alcuni, hanno a turno individuato delle cause e suggerito delle strade per l’attuale classe dirigente. Lo stesso Martina, poveretto, sembra (e sottolineo “sembra”) mettercela tutta. Non mancano anche i consigli sbagliati di chi forse non ha mai votato Pd e mai lo voterà (v. “gessetto” n. 385 del 3 luglio 2018).

Sono state avanzate diverse ipotesi sul crollo del Pd, con connessi suggerimenti, sennonché ci pare che non venga mai indicato in modo chiaro un aspetto che a parere di chi scrive ha una grande importanza: la corruzione.

Il Pd da un certo momento in poi è stato percepito come un partito corrotto, immagine di un paese a sua volta corrotto, in cui la corruzione è ormai un’emergenza nazionale. Va doverosamente precisato che quel momento è cominciato ben prima dell’arrivo di Renzi, ma certamente il “bulletto fiorentino” non ha invertito quell’immagine, anzi forse la sua spregiudicatezza e la sua mancanza di valori morali nell’esercizio del potere hanno indotto molti a sospettare il contrario. Riteniamo che fino a quando nel partito non si aprirà un dibattito serio e aperto sul tema della corruzione il Pd rischia di non riprendersi.

Per esempio non è il caso di chiarire anche il ruolo delle cooperative, quelle grandi, che sono tra le protagoniste dell’ “appaltificio nazionale”? Vogliamo cominciare a pensare a un processo progressivo di smantellamento, anche attraverso l’abolizione delle agevolazioni fiscali di cui godono, visto che non assolvono più alla funzione originaria di mutua assistenza dei soci, ma sono diventate delle potenze economiche e finanziarie che dettano legge in quello che abbiamo chiamato l’appaltificio nazionale? I loro bilanci sono trasparenti? La nomina dei vertici avviene in modo trasparente, e a chi rispondono realmente?

Ripetiamo: finché il Pd non farà i conti apertamente con la “questione corruzione” temiamo che difficilmente si riprenderà, nonostante gli errori che questa compagine governativa sta compiendo. E a nulla valgono i patetici e ricorrenti riferimenti a qualche marachella del M5S e il dire “sono uguali agli altri”, perché è evidente che finora si tratta, appunto, di marachelle a confronto del tangentificio nazionale.

Un dibattito serio sul punto servirebbe anche a inviare un messaggio chiaro a tutta quella gente malintenzionata che ronza attorno al partito con il solo scopo di guadagni illeciti, non certo per condivisione di ideali politici.

Il Pd sarà capace di questo passo? I suoi esponenti sono sufficientemente “liberi” per compierlo. Il futuro del Pd passa anche per le risposte che si daranno a queste domande.

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