di Alfredo Morganti – 25 aprile 2017
Il suo ghostwriter ha 27 anni. Il suo stratega 29. Il coordinatore della sua campagna appena 24. Macron è l’uomo nuovo, ed è al vertice di una cordata di collaboratori nemmeno trentenni. È bene, è male? Dite voi. Va pure detto che è un uomo senza partito, o almeno con un partito personalissimo, praticamente cucito indosso. Ha un programma molto vasto, di cui si tratterà di capire le priorità, come ha già evidenziato D’Alema. Mettere in un calderone tutto, anche cose buone, non vuol dire nulla, bisogna vedere da dove si parte. Al primo turno ha raccolto meno di un quarto dei voti. Secondo Marc Lazar, si è già trattato di voto utile, prodotto nel timore che la sua avversaria potesse prevalere da subito, anche al primo turno. Pare che sia stato votato in massima parte per il programma, a differenza degli elettori di Le Pen, che hanno scelto lei con convinzione. Macron prende voti nelle grandi città, nei territori più prosperi e coesi, tra le professioni e le eccellenze. Il suo elettorato è soprattutto di centrosinistra, ma, dice sempre Lazar, dovrà cercare voti a destra al secondo turno. Le Pen, al contrario, prende voti nei ceti popolari, nella Francia dove la crisi morde di più, nei territori più svantaggiati. Mélenchon invece ha sfondato tra i giovani di 18-24 anni, dove è stato primo. Se questa è la geografia del voto, donde tanto ottimismo?
Tant’è che lo stesso Lazar oggi su ‘Repubblica’ avanza qualche dubbio, e a ragione. Non c’entrano il fascismo e l’antifascismo, o almeno non bastano a spiegare la fenomenologia possibile del voto. Le ragioni sono altre, sociali, legate alla crisi, alle divaricazioni sociali, territoriali, al disagio diffuso, alla provincia che guarda in cagnesco i ceti urbani. Insomma, nessuno si porta da casa nulla, tanto più in una situazione di tale marasma politico. Ripetiamolo: i partiti politici cosiddetti tradizionali (ma io direi i partiti politici tout court) in Francia non sono andati al ballottaggio. Si parla esplicitamente di populismo vs europeismo-globalizzazione, non più di destra vs sinistra. E se c’era nel mondo politico un elemento di effettiva stabilità erano proprio i partiti politici e la divisione tra una destra e una sinistra ad assicurarla in massima parte. Non la legge elettorale garantiva maggioranze, ma parlamenti rappresentativi e ben funzionanti. La connessione tra istituzioni e popolo, non altro, contrastava il dissesto politico.
A forza di sparare su tutti questi elementi, nell’unico intento di offrire la strada spianata al neoliberismo e a una società individualizzata e mediatizzata, oggi la concreta rappresentanza politica e la stabilità che ne conseguiva non esistono più. È una società peggiore e meno coesa quella che abbiamo davanti. La politica non fa più 2+2: ci sono gli algoritmi più astrusi a governare il nostro destino di utenti e consumatori. E allora ditemi come potrebbe Macron dormire tra due guanciali? E come fanno a Bruxelles a sentirsi tanto sereni? Ma il punto è un altro: come potrà Macron presiedere il Paese, nel caso, con questa risicata minoranza elettorale e sociale dalla sua parte? Ed è proprio qui, nella debolezza del maggioritario in tempi di crisi come questi, nella mancanza di rappresentanza e legittimazione, e nella sciocca idea della governabilità, che casca l’asino della politica.