Fonte: linkiesta, la Repubblica
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La giornalista e scrittrice contro la smania di “genitorialità”, contro l’istinto materno, contro il maschio contemporaneo. Vietare l’accesso ai bambini al ristorante? «Giustissimo. Se i genitori non li sanno più educare, che li tengano in casa»
«Il destino delle donne non è fare figli, ma vivere», ci dice, con affetto: è una frase che, ultimamente, potrebbe capitare di sentire in bocca pure a qualche maschio. Nel 1978, in Lui! Visto da lei, scrisse: “se un uomo si dichiara femminista non c’è un minuto da perdere: su le mutande e via, senza pensarci un minuto”. Avendo un’intelligenza baciata dal dono della leggerezza, Natalia Aspesi ha sempre volato altissimo. Di quando la fecero inviata a Il Giorno, dice che fu «non per bravura, intendiamoci, ma perché non volevano donne in redazione». Lo racconta senza piagnistei come sempre, perché: “nei piagnistei finirà il mondo”, diceva Eliot. Natalia Aspesi ci ha fatto sorridere tutte le volte che ha preso parola, tutte le volte che ha scritto: raro per una femminista. Che poi, tanto, in una parola non si contiene nessuno, men che meno una come lei. Di certo, Natalia Aspesi dalla parte delle donne c’è sempre stata e senza pietismo: le ha strigliate. Le ha dipinte senza sconti: le “sorellastre”, le “coniugate” (si deve leggere, imperativamente, il suo Delle donne non si sa niente). Pure delle mamme ha avuto il coraggio di denunciare i limiti odiosi e le sciocchezze, decenni fa, quando non era affatto semplice come adesso (perché adesso, ha scritto la sociologa Camille Paglia, le donne sono impegnate a cancellare ogni retorica della maternità). Un coraggio di cui ci si figura la vastità solo tenendo a mente che lei, mamma, non lo è diventata mai.
Com’è stato non avere figli?
Un caso. Quando avrei potuto farli non li ho fatti, non sono venuti e siccome non li desideravo nemmeno non ho fatto nulla per averli.
Anche non essere madre può essere un caso?
A volte ci sono delle ragioni. Alcune donne rinunciano a diventarlo perché pensano che sia un legame troppo forte.
Per esempio le donne in carriera che vogliono evitare troppi legami?
Quelle che fanno carriera in realtà sono le donne che fanno più figli: se li possono permettere. Le prime donne di peso nella finanza, nell’industria e in tutte le professioni prima esclusivamente maschili, hanno sempre avuto molti figli. Ai miei tempi, persino quattro o cinque per ognuna di loro, forse anche perché volevano dimostrare che fare carriera non le mascolinizzava, non le spingeva a vedere nei figli un fastidio né un ostacolo.
E ora l’esigenza di essere genitori è ancora più diffusa.
Smania non solo delle donne, ma anche delle famiglie omogenitoriali.
Ache gli omosessuali, adesso, stanno cascando nella trappola per cui costruire una famiglia è il solo mezzo per legittimarsi?
Oggi gli omosessuali desiderano dei figli perché sanno di poterli avere. Nell’Inghilterra dell’Ottocento, quando essere gay era un reato, di certo non poteva venire nemmeno in mente la prospettiva di costruire una famiglia. Succede oggi perché la scienza ti consente di avere figli anche se non vai a letto con una donna.
Nessuna brama di riconoscimento sociale, allora?
Diventare padre non dà alcun riconoscimento neppure agli eterosessuali. Anzi, per tutti i maschi è ancora più complicato: per la prima volta devono fare i conti con tutti gli oneri e le difficoltà che avere un figlio comporta. Si scontrano con la loro inadeguatezza.
Non crede che sia più difficile, invece, oggi, essere madre?
E’ più difficile essere padri, invece. Fare i mammi, portare il passeggino, togliere il pannolino, accompagnare a scuola, insomma essere più presenti, non è sufficiente. I figli vanno cresciuti, allevati, bisogna insegnar loro a vivere: tutto questo gli uomini non sono più capaci di affrontarlo.
Emanuele Trevi ha scritto che i padri che portano il passeggino e fanno il bagnetto ai figli stanno eliminando l’Edipo: un danno che stima incalcolabile.
Avrà le sue ragioni, non discuto. Ma mi chiedo perché un padre non dovrebbe fare il bagnetto a suo figlio. Il problema è quello che deve scattare dopo, quando un bambino non è più un bambolotto che non deve solo soddisfare bisogni primari. Perdendo l’autorità che prima dava loro il diritto/dovere di rimproverare, ammonire e punire, i padri sono, adesso, perduti.
Non crede che, invece, stiano scoprendo la tenerezza?
Non stanno scoprendo un corno. A mettere pannolini sono bravi tutti: allevare è un altro paio di maniche.
Che ne dice, invece, delle donne che parlano esclusivamente dei propri figli, facendo sentire pure più stronze chi non ne ha?
Non hanno altro nella vita. Ho amiche che sono madri e nonne: non mi hanno mai parlato di figli e nipoti, pur adorandoli.
Mai?
Perché distinguono la vita intima da quella sociale. Sono donne intelligenti che amano, lavorano, leggono e che dei propri figli non parlano; non ne menano vanto. Perché i figli non sono la loro unica fonte di gioia. Mi spiace molto per le ragazze che non hanno altri argomenti: io preferisco quelle che raccontano dei loro amanti.
E di quelle che ritengono la maternità il peggiore nemico della libertà femminile?
Non ne conosco.
Non ha letto No Kids. 40 ragioni per non fare figli di Corinne Maier? In America ha fatto il boom.
Arriverà presto anche “40 ragioni per fare figli”. Si tratta di giochi editoriali, che di certo nascono da un’assunzione reale: si può vivere senza figli. Ciò che è davvero importante è che stiamo finalmente archiviando l’idea per cui essere madri sia il destino delle donne. Il destino delle donne è vivere.
E essere madri?
Fare figli è una scelta, così come non farne: questa libertà fondamentale è la più grande conquista femminile.
Allora l’istinto materno non è universale?
Il fatto che oggi molte donne desiderino assolutamente avere figli non c’entra nulla con l’istinto materno.
Come no?
Ha a che fare con l’incapacità di accettare che le relazioni d’amore finiscono e che anche il matrimonio è una società al cui interno, dopo qualche anno, la passione si attenua.
I figli per molte donne sono il sostituto della passione? Vuole dire questo?
Ci si aspetta che che sostituiscano l’amore che svanisce e che si pretende non cambi mai forma, né intensità. Come se poi, peraltro, fare i genitori fosse una passeggiata: non c’è nulla di più complesso, è una responsabilità che travalica chi la ha, comporta molte rinunce. E poi, sai cosa le dico?
Cosa?
Ci sono troppi bambini! Se al mondo ne facessero di meno, staremmo meglio.
Che ne pensa di alberghi e ristoranti in cui l’accesso è proibito ai bambini troppo piccoli?
Giustissimo. Se i genitori non li sanno più educare, che li tengano in casa. Non capisco per quale ragione dovrei sopportare un antipatico bambino che non so chi sia, rovinandomi la serata. D’altronde, di ristoranti e alberghi per famigliole noiose è pieno il mondo.
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siccome Natalia Aspesi ci piace molto, vi proponiamo un’altra recente intervista
Natalia Aspesi: “Sono cattiva, determinata e frivola, così ho tenuto lontano l’infelicità”
intervista di ANTONIO GNOLI 25 ottobre 2015
Le Orsoline, l’ufficio, la cronaca nera e il costume. Storia di una “pioniera” che ha imposto il racconto del mondo della moda nei giornali.
A quanto pare “nella vita di una società i misteri più profondi stanno in superficie”. La frase di Aleksandr Zinov’ev credo si adatti perfettamente al mondo di Natalia Aspesi. In lei non c’è pesantezza e noia. Natalia vive a Milano. Una città che è l’emblema della sua carriera straordinaria. Sotto quale segno si è svolta? Mi verrebbe da chiederle. Ma so già che la risposta finirebbe con l’esaltarne la leggerezza e il proverbiale non prendersi mai troppo sul serio. Siede sul bel divano Natalia.
È una donna priva di concetti astratti e di pretese filosofiche. Dietro un’apparenza mite, gentile, svagata si cela una figura tosta. Darwinianamente votata alla competizione. “Pensi questo di me?”, mi chiede un po’ sorpresa da un esordio che si fa inaspettato. Non lo penso, naturalmente. Ma credo, questo sì, che per governare metafore senza freni e mondi così mutevoli, raccontarli con quella facilità che le è propria, occorra determinazione, forza, ma anche sufficiente frivolezza”.
Sei più determinata o frivola?
“La determinazione è il materiale con cui ho costruito la mia barca. La frivolezza è la vela che le dà la spinta. Di solito si accosta la frivolezza alla stupidità. La vera frivolezza è un’arma dell’intelligenza. Il mio modo di essere spiritosa. Anche se, più passa il tempo e meno avverto la necessità di darmi un’immagine frivola”.
Più passa il tempo e cosa accade?
“Ho l’impressione di volermi più bene. Non ho voglia di sembrare un’altra me. Eccomi qua”.
Senza orpelli né artifici?
“Ho avuto una giovinezza piuttosto dura. Ora che sono trascorsi gli anni mi pare di sfiorare una certa armonia. Con tutti gli orrori che la vecchiaia scatena, il risultato è sorprendente”.
Dici durezza, a cosa pensi?
“Penso agli anni della guerra. Alla mia adolescenza triste. Il papà che muore, io giovanissima. Eravamo – intendo mia sorella, io e mia madre – abbastanza poveri. Bastava che ci guardassimo in faccia per provare un senso di sgomento”.
E quando la guerra finì?
“Non finirono le pene, non subito. Mi persuasi di una certa diversità. Tutti provavano a divertirsi. Tranne me. Avevo un solo golf. Giallo. Mi stava orribilmente”.
Che scuole frequentavi?
“Ho fatto il liceo artistico. Fu una scelta di ripiego. Avrei preferito il liceo vero. Ma dovevo lavorare, imparare un mestiere. Caspita, ma quanti anni vuoi passare a scuola! Diceva la mamma. Una donna concreta. Piccola borghesia. Senza slanci né sogni. Era maestra. Non si separava mai dai suoi pensieri”.
Tu come reagisti?
“Per un po’ ho subito. Ero anche andata dalle Orsoline. Ricordo le compagne di scuola eleganti, alcune belle e già sofisticate. Il confronto non reggeva. Ero bruttina e malvestita. Poi, a un certo momento della vita, ho capito di avere altre chance”.
Lo hai capito quando?
” Non c’è un giorno o un’ora fatidica. Mi resi conto del lavoro che non mi piaceva. Ero segretaria nell’ufficetto di un’azienda che importava macchine per fare il formaggio”.
Non ti ci vedo in quel ruolo.
“Eppure fu così. Non c’erano molti soldi e occorreva lavorare. Poi giunse la grande occasione, che era tutt’altro che grande. Fui assunta alla Notte “.
Come ci arrivasti?
“Grazie a un flirt con un ragazzo che sosteneva che scrivessi lettere bellissime. “Perché non provi con il giornalismo”, mi incoraggiò. “So che alla Notte cercano qualcuno che possa fare un po’ di cronaca mondana”. Cominciai occupandomi di mostre canine e di qualche festicciola. Niente di che. C’era questo e c’era quello. Scoprii che il lavoro mi piaceva. E che ero anche brava “.
La tua vita stava cambiando.
“Non stava cambiando. Incominciava. Improvvisamente vinsi la timidezza. Superai incertezze e dubbi. Mi abbandonai ai sentimenti”.
Con quali conseguenze?
” La mia generazione era fatta di donne che se non si sposavano non entravano in camera da letto con un uomo. Ti parrà strano, ma il lavoro, quel lavoro, mi ha dato la coscienza che oltre a un’anima o a un’intelligenza avevo anche un corpo. E un’indipendenza”.
Indipendenza da chi?
“Anzitutto dal fatto che nessuno dovesse vigilare sulla mia purezza. Puoi immaginare cosa erano gli anni Cinquanta e Sessanta per una donna?”.
Vorrei che rispondessi con la tua abituale ironia.
” Eravamo delle poverette. Pensa che quando sembrò aprirsi una opportunità al quotidiano Il Giorno, il ragionier Chiappa con un tono definitivo disse: questo giornale non assume donne. Ce ne è una, basta e avanza. Poi accadde che il direttore Gaetano Baldacci fu allontanato. Per solidarietà si dimise l’unica donna che c’era in quel giornale: Adele Cambria. A quel punto Il Giorno volle sostituirla con un’altra donna”.
E chiamarono te?
” No, puntarono più in alto. Lo chiesero a Camilla Cederna, la quale declinò l’offerta. Poi alla Oriana Fallaci, che sprezzante rifiutò. Fui segnalata a Italo Pietra, il nuovo direttore, e venni assunta come impiegata, sebbene svolgessi il lavoro di giornalista”.
Facesti una carriera rapidissima.
” Dopo sette mesi fui fatta inviata. Non per bravura, intendiamoci, ma perché non volevano donne in redazione “.
Era così forte il pregiudizio?
” Come stare in uno di quei caffè raccontati da Brancati. Mondi preclusi all’altro sesso. Comunque mi fu chiesto di occuparmi di cronaca nera. Ero terrorizzata “.
Perché?
“Non l’avevo mai fatta. Un mondo di passioni, inganni, ferocie mi si apriva e scoprii di essere abilissima a piangere con le mamme degli assassini. Una dichiarazione, un raccontino, una foto. Bastava qualche lacrima, perché avessi a disposizione le loro vite private. Era un mestiere faticosissimo. Per una notizia, a volte, stavo sveglia tutta la notte. Quando ho smesso di fare cronaca mi è dispiaciuto. Sentivo però che mi piacevano anche altre cose”.
Ad esempio?
“Il cinema. Cominciai a occuparmi dei Festival. E fu come tornare bambina, quando la mamma, impegnata con l’insegnamento, piazzava me e mia sorella alla sala Magenta. Avevamo otto o nove anni. Vedevamo più volte lo stesso film. Ero incantata dall’eroismo di Pietro Micca e impazzivo per la tragica storia di Pia dè Tolomei”.
Avresti potuto occuparti di politica.
” Non ho mai avuto interesse per la politica. Non ho competenze particolari. E poi, essendomi interessata alla cronaca, quel mondo mi appariva senza vita. Ero aliena a quel tipo di cultura e di rituali. A quei modi di vestire che i politici avevano e che su di me non esercitavano nessuna attrazione”.
A proposito di vestire hai scritto tantissimo di moda.
“Ma sai, è stata dura imporla come argomento. All’inizio la moda era confinata ad alcuni settimanali. Ho dovuto lottare. Era un mondo che stava nascendo e mi piaceva moltissimo raccontarlo. Poi, quando è diventato miliardario, ho smesso di occuparmene in modo sistematico”.
Un soprassalto di moralismo?
“No, per carità. Solo che alla fine potevi occupartene nei limiti dei comunicati stilati dalle maison. Allora meglio le mostre, il cinema o i libri”.
Cosa ti piace di queste forme di cultura?
“Non ti vorrei fare l’elenco. Diciamo che a me piacciono le cose stravaganti e soprattutto non troppo colte. Non potrei mai recensire una mostra di Giotto. Perché non ne so niente”.
Però recentemente hai recensito una grande mostra sulla prostituzione.
“Mi vuoi dare della sporcacciona?”.
No, anzi. Ammiro il tuo lavoro sulla sessualità, il modo in cui la racconti.
“Mi diverte lo sguardo storico. L’articolo al quale alludi era sulla prostituzione nella Francia del Secondo Impero. Mi colpiva la morbosità di Degas nel ritrarre uomini in cilindro e redingote che guardano le donne con le cosce aperte. Provavo come un senso di orrore e di stupore. Qualcosa su cui adoro incattivirmi”.
Che tipo di cattiveria è la tua?
“Ritieni che sia cattiva?”.
Non ho dubbi. Una cattiveria che sfiora il sublime.
“No, no. La mia è una cattiveria tenera. Detesto l’offesa, la presa in giro che può dare dispiacere. Ma una dose di cattiveria è indispensabile. Entro limiti eleganti va favorita. Niente a che vedere con la cattiveria stupida dei talk show: villani, incompetenti, ingiuriosi”.
Insomma ti piace la cattiveria raffinata?
“È un crimine?”.
Anche il sesso deve essere raffinato?
“Ciascuno lo faccia come vuole”.
La sessualità è una forma di potere?
“Alcune donne hanno trasformato il loro fascino in una forma di supremazia. Sono molti di più gli uomini per i quali il solo modo che conoscono di sentirsi potenti è fare sesso pagando”.
C’è un’età del sesso per la donna?
“Credo che le donne facciano l’amore a tutte le età”.
Ne sei certa?
” Assolutamente. Ma non se ne parlava perché solo l’età giovanile era legittimata a praticare sesso. Non è così. Nella rubrica sul Venerdì – Questioni di cuore – corrispondo con donne dai cinquant’anni in su. E spesso hanno una vita sessuale che va al di là del loro matrimonio “.
Sei mai stata sposata?
“No. Chi non mi piaceva e me lo ha chiesto l’ho rifiutato. E poi il matrimonio va bene se metti su famiglia. Non desideravo figli”.
Però hai avuto amori fondamentali.
“Certo, un paio importanti e uno decisivo: Antonio. Siamo stati insieme per 38 anni. È scomparso tre anni fa. Mi ha aiutato moltissimo. Mi voleva un bene esagerato che andava oltre i miei meriti. Ho dei rimorsi per avere privilegiato il lavoro”.
Nella professione sei molto competitiva, si dice, con le altre donne.
“Non è vero. Sono competitiva con donne e uomini”.
Rientri nel ristrettissimo novero di figure femminili che hanno fatto la storia di questo mestiere.
” Che non è quello più antico, spero. Ma a chi ti riferisci? “.
Penso a Camilla Cederna.
“Meravigliosa. Una generosità professionale assai rara. E ha avuto molto coraggio, nonostante gli insulti di Montanelli che poco mancava che le desse della troia “.
E poi Oriana Fallaci.
“Oriana, Oriana. Non si fa che parlare di Oriana. Lei era la protagonista. Quando incontrava Kissinger o Khomeini, sembrava che fossero loro a intervistarla e non viceversa. Se tu oggi rileggi i suoi pezzi ti accorgi che non c’è una notizia”.
Non vorrei dimenticare Irene Brin.
“Non l’ho mai conosciuta. Una scrittura meravigliosa. Fu la prima a saper raccontare della buona società tutto il superfluo necessario”.
Un bell’ossimoro. Che cosa è per te il superfluo?
“Non lo so, non c’ho mai pensato. Forse la mia vita ruota attorno al superfluo. Andare a comprarmi una camicetta, di cui non ho stretto bisogno, mi dà un piacere enorme”.
Sei mai stata dallo psicoanalista?
“No, mai. Temo che la mia vita in mano a un analista avrebbe provocato pozzi di orrore. Preferisco non sapere “.
Cosa è stata la morte di Antonio?
“Una perdita senza rimedio. Un’insonnia straziante “.
In questi tre anni hai mai pensato a una nuova relazione?
“No, dopo di lui non potevo che stare sola. Molto meglio. Oddio, un vecchietto o un giovane a pagamento li troverei. Mi farebbe orrore vederli gironzolare per casa. Nel dispiacere della solitudine ho conquistato un po’ di silenzio”.
La solitudine è una forma di disciplina.
“Non vorrei esaltarla troppo. Ho molti amici che mi portano fuori e mi fanno regali. Sono quasi tutti gay”.
Perché lo sottolinei?
“Perché hanno un modo diverso di giudicare le donne. Un amico gay sta volentieri con te per delle ragioni che non hanno niente a che vedere con la bellezza e il sesso. L’ho scoperto con l’età”.
Cos’altro hai scoperto con l’età?
“Più invecchi e più diventi invisibile. La vecchiaia è scontata come il marciapiede sul quale cammini. Diventi trasparente. E la gente che per strada ti viene incontro non ti vede, ti urta e tu puoi solo tentare di evitarla “.
Dai l’impressione di avere accettato questa condizione.
“Cosa avrei dovuto fare? Chi dice che la vecchiaia è bella mente o è stupido. La vecchiaia è brutta. Poi ti adatti e finisci con l’accettarla. L’età più bella per me è stata quella della maturità, tra i quaranta e i cinquant’anni “.
La giovinezza?
“Ero troppo infelice”.
Come reagisci davanti alla infelicità?
“Mangio, acquisto un libro o un paio di scarpe. È raro che senta l’ala dell’infelicità stendersi su di me. In quei momenti la combatto. Non ho voglia di soffrire né di morire. Non credendo in Dio non ho consolazioni particolari. Veniamo dalla polvere e finiremo nella polvere.
“Un proverbio Yiddish dice che nell’intervallo berremo qualche bicchierino.
“Ho sempre amato l’ironia e la comicità ebraica”.