di Alfredo Morganti – 22 luglio 2016
Nani e ballerine. Aveva ragione Spiderman. Grande potere è uguale a grande responsabilità (e a grande rappresentanza).
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. È una celeberrima frase che i cultori di ‘Spiderman’ ben conoscono. Notate l’equilibrio dell’affermazione: grande una cosa, necessariamente grande anche l’altra. È una specie di regola di proporzionalità che vale per molte altre questioni. Applichiamola anche alla politica. Un grande potere, anche qui, invoca una grande responsabilità. Non solo. Io direi anche una grande forza, una grande legittimazione, una grande rappresentanza. Immaginate il mito di Atlante: come potrebbe sorreggere il mondo se fosse privo di una forza sovraumana? Lo stesso per gli uomini, lo stesso per le loro idee, lo stesso per il loro progetti: non si governa un Paese (governa non in senso tecnico – ossia stare al governo – ma in senso forte, pregnante, quale capacità di direzione, unificazione, trasformazione) da ‘deboli’, tantomeno se questa debolezza è camuffata, e appare come forza senza esserlo davvero.
Il punto è tutto qui. Né più né meno. Chi governa o intende governare un Paese come l’Italia deve essere forte, ossia responsabile, ma-anche legittimato, rappresentativo. Deve possedere una forte rappresentanza tra gli elettori e dunque in Parlamento, insomma. La solitudine non è mai un pregio o un merito. Mi capita spesso di dire, quando tento di spiegare le mie posizioni, che “consegnare un potere maggioritario a un nano, non per questo vuol dire che quel nano sappia effettivamente sostenerlo”. Mi auto cito. Il premio di maggioranza in effetti, consegna una rappresentanza parlamentare del 55% a una lista che, al primo turno conta meno, molto meno, il 20, al più il 30% del 60% di votanti effettivi. A un nano viene in sostanza assegnata un potere doppio, triplo. Minoritario, peraltro. Una debolezza camuffata da forza. Una maschera che nasconde debolezza. E che testimonia come la questione vera, ossia costruire una grande rappresentanza, puntare ad ampliare la propria forza politica, parlamentare e sociale, sia semplicemente negata. Sia ritenuta tempo perso. Perché si deve vincere ‘ora’, subito, adesso! Con esiti prevedibili, peraltro.
Quando invece il grande potere chiede, in primo luogo, una grande capacità di rappresentare, di essere forza democratica politica e sociale (forza popolare, culturale, egemonica) e non forza fittizia (o bruta, com’è nelle dittature). Senza la forza, QUESTA forza, la politica muore. Non c’è più. È ridotta al nulla del ‘premio maggioritario’, è ridotta alle manovre sulla legge elettorale, ai tecnicismi, alle ‘trovate’, alle ideone, agli opportunismi, ai calcoli di interesse privato. Ricorre all’immagine di un uomo, invece di una forza collettiva. Perché, va detto, la forza politica è collettiva, è quella di un gruppo dirigente, di una comunità, di una base di militanti (non volontari, ma militanti), di una cultura politica solida e di una capacità di mediazione infinita. Solo i partiti sintetizzano e condensano tutto questo, senza di essi è solo il delirio della liquidità della gassosità, dell’incultura politica e istituzionale. Senza di essi la politica debole si consegna ai guru della comunicazione, alle tecniche pubblicitarie, alle scorciatoie che poi mandano al potere i Trump della situazione. Senza partiti, senza rappresentanza, senza forza, i nani (anche quelli più ‘nuovi’, anche gli outsider dell’ultim’ora) sono presto destinati a essere sopraffatti e schiacciati. E a ballare una sola estate.
Napolitano al ‘Foglio’ non ha detto solo che bisogna cancellare il ballottaggio (come hanno riportato tutti), perché potrebbe condurre alla vittoria una forza scarsamente legittimata (vedete, anche il Presidente emerito è d’accordo con lo zio di Spiderman). Ha aggiunto che sarebbe utile che i maggiori schieramenti trovino una condivisione di intenti e formulino un nuovo Patto per l’Italia. Non è questa la denuncia lampante del timore che gli attuali governanti siano ‘nani’ rispetto alla selva di questioni interne e internazionali che andrebbero affrontate con la dovuta forza, legittimazione e rappresentanza? E non è curioso che nonostante tale (tarda) consapevolezza si insista ancora con le leggi maggioritarie, i premi, le scorciatoie tecnicistiche, le illusioni del leader solo al comando, le Costituzioni che creano un dopolavoro al posto del Senato, le riforme che hanno le gambe così corte da essere subito riacciuffate? E non è assurdo che si invochi la necessità della ‘forza’ della politica e poi si indebolisca la rappresentanza, si ammazzino i partiti, si svigoriscano parlamenti? E si trasformi la politica in una grande metafora calcistica, dove vincere è tutto, anche ai rigori, anche con la monetina, anche col calcio scommesse? E alla fine gli scudetti si regalano col premio maggioritario?