Fonte: La stampa
Muore George Foreman, leggenda del pugilato. Rumble in the jungle: Big George Foreman, Morto e risorto sul ring di Kinshasa: si è presentato in Africa da favorito, sconfitto da Muhammad Ali, ha perso tutto, ma ha accettato il suo ruolo in quella notte storica (Video dell’incontro) ed è riuscito a riemergere
L’incontro che ha definito la boxe visto dall’angolo di chi ha perso è un gigantesco scherzo. Nulla avrebbe mai potuto preparare George Foreman alla sfida che ne ha segnato la carriera, a Kinshasa, nell’allora Zaire e oggi Repubblica democratica del Congo, il 30 ottobre 1974. In piena era di giganti del ring, davanti ad Ali, il campione più famoso della storia e ben oltre il quadrato, in ogni sport. Foreman contro Ali, così, come lo conosciamo noi è “Rumble in the jungle”, epica e leggenda, ma non lo stesso modo in cui lo ha vissuto lui.
Foreman aveva 25 anni e Ali 34, non vinceva più dal 1967 (ndr: errore grave Alì aveva sconfitto e il 28 gennaio 1974, Frazier nella rivincita), era stato obbligato a fermarsi dopo il rifiuto di arruolarsi, aveva perso contro Frazier (ndr l’8 marzo 1971 poi Alì vinse la rivincita succitata e il terzo incontro che si tenne 1º ottobre 1975 “il più brutale nella storia del puglilato”), il terzo monumento di quella boxe fantastica e pure l’ultimo sconfitto della sequenza micidiale di Foreman che si presentava imbattuto, preparato, rigorosamente allenato. Peccato per lui che avesse studiato, nell’ossessivo dettaglio, l’Ali degli anni migliori e non quello che sarebbe diventato indimenticabile. Non poteva prevedere l’imponderabile. Gli era inconcepibile persino immaginare che l’Africa gli avrebbe tifato contro. Una presa di posizione ingiusta. Anche Foreman era afroamericano e aveva fatto le sue battaglie, scelto i suoi gesti, come la bandierina americana stretta tra le mani dopo il successo olimpico del 1968. Il suo personale grido di appartenenza, la sua richiesta di attenzione nei Giochi del pugno alzato da Smith e Carlos sul podio dei 200 metri. Era Foreman, un talento assoluto, un fisico pazzesco, una determinazione che lo avrebbe poi guidato persino oltre la storia. Ma in quel 30 ottobre 1974 è il pugile più preparato al mondo per il match più sbagliato di sempre.
30 ottobre 1974: lo storico incontro tra Muhammad Ali e George Foreman

La gente dello Zaire canta «Ali uccidilo», persino l’esercito fuori dal palazzetto, i militari schierati a difesa dei grandi nomi presenti tra il pubblico, urla «Ali uccidilo» e la vittima è lui, Foreman che non capisce perché gli hanno riservato questo ruolo. Cerca di non lasciarsi spaventare, si ripete di essere pronto e per sette riprese è convinto che tutto sia come l’ha studiato. Fino a che non capisce di essere caduto in una trappola tattica, in un abbaglio. Fino a che, ansimante e stravolto, non realizza che quelle urla hanno ragione. Succederà, in qualche modo, per fortuna non definitivo, Foreman morirà su quel ring che consegna Ali alla gloria. Nell’ottava ripresa gli arrivano addosso pugni che non può sopportare. Sono perfetti, diretti, crudeli. Gli si scatenano in faccia, sul corpo, non li può reggere perché è stanco, perché per sette inutili round è stato inutilmente splendido e Ali a quel punto gli sussurra: «Tutto qui?». Sa che il rivale ha esaurito l’energia senza fargli male e ora tocca a lui che l’ha studiata, immaginata, prevista, pregustata e annunciata perché è Ali, è unico e sa chiamare la vittoria. Sa come sottometterla alla sua volontà.
Foreman va al tappeto e ci resta degli anni. Conosce la sconfitta e la trova insostenibile. Non se ne capacita. Era Big George, sarebbe tornato a portare quel nome, ma nella notte di Kinshasa non è niente. È il rivale beffato. Lì c’è solo Ali che si prende la sua rivincita sugli Usa, su chi ha dubitato di tanto talento, sui puritani, sugli opinionisti schierati, sulle critiche, sugli insulti. È Ali che si fa spingere dall’Africa, è un eroe e non lascia spazio ad altri. Foreman resta giù e sprofonda.
Gli ci vorranno mesi di fuga e di domande per riemergere, scapperà a Parigi tra auto di lusso e uscite stravaganti con l’unica ansia di sentirsi vivo. Di provare del piacere in qualche conquista, nell’essere riconosciuto pure se ogni singolo giorno finisce nel segno di Ali. Fino a che Foreman non accetta la grandezza della storia. Ha vissuto il suo momento peggiore nell’incontro che tutti ricorderanno. Nella sfida che resta anche 41 anni dopo. Foreman ha il coraggio di accettarlo ed è così che ne esce di nuovo da gigante. Risalirà sul ring e rivincerà, lo farà e rifarà oltre i 40 anni e poi saprà pure diventare milionario con il grill. Grazie a una delle passioni degli Stati Uniti che è sempre stato orgoglioso di rappresentare, che voleva sensibilizzare, che lo hanno abbandonato. E riacclamato, come da classica trama a stelle e strisce. Foreman è sul serio morto sul ring di Kinshasa. Poi è risorto e non può scomparire mai più. Neanche adesso che se ne è andato.