Fonte: L'Espresso
Il j’accuse dell’economista Giovanni Dosi, il più ascoltato dai pentastellati (almeno fino a un mese fa). «È stato tradito il programma: così si favoriscono solo i ricchi. È il contrario di quello che dicevamo»
di VITTORIO MALAGUTTI – 19 giugno 2018
E adesso, professore? «Adesso sono deluso. Anzi no, peggio: mi preoccupa molto la direzione di marcia che ha preso questo governo. Tutto è davvero diverso da come ce lo eravamo immaginato». Giovanni Dosi, 64 anni, ordinario di politica economica alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa, è lo studioso di fama internazionale che nei mesi della campagna elettorale, e anche prima, ha cercato di orientare a sinistra il programma dei Cinque stelle. Tanti consigli, con alcuni punti fermi: più tasse ai ricchi, maggiore intervento pubblico in economia, investimenti supplementari nei servizi pubblici a carattere universale, come sanità, trasporti, scuola.
Parole al vento, o poco di più. Nelle dichiarazioni d’intenti del sedicente governo del cambiamento restano solo vaghi accenni ai progetti a suo tempo discussi da Dosi con Luigi Di Maio e altri esponenti del Movimento. Economisti come Andrea Roventini (anche lui docente al Sant’Anna di Pisa) e Luigi Tridico sono stati subito messi da parte dal Movimento grillino, che pure li aveva indicati come ministri in pectore alla vigilia delle elezioni. L’onda dell’alleanza con la Lega di Matteo Salvini ha cambiato tempi e priorità. Il reddito di cittadinanza è ormai scomparso dai radar, mentre si studia la pace fiscale, eufemismo che nasconde l’ennesimo condono.
Professore, la sua delusione è comprensibile, viste le premesse. Non sembra scontato, però, che il futuro sia così nero. Dati alla mano sono i Cinque stelle il socio di maggioranza del governo. E alcuni punti del loro programma economico sono confermati anche nel contratto con la Lega. I nuovi ministri non si meritano una minima apertura di credito?
«Sono molto preoccupato perché i risultati sul fronte economico, semmai ci saranno, potranno essere raggiunti solo in un arco di tempo molto lungo, si parla di anni. La Lega invece punta ad allargare la propria area di consenso con misure propagandistiche attuabili in fretta e di fatto a costo zero».
Può fare qualche esempio?
«La politica dell’immigrazione è nelle mani di Salvini, che dalla poltrona di ministro dell’Interno è ora in grado di influenzare l’opinione pubblica ancora più pesantemente rispetto al passato. Penso per esempio alla campagna sui rimpatri forzati, i nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo o la chiusura dei porti alle navi delle Ong. Una serie di annunci eclatanti seguiti da pochi provvedimenti finiscono per oscurare eventuali successi di politica economica, che arriveranno chissà quando. Se arriveranno».
Intanto anche sul fronte delle riforme economiche il vecchio cavallo di battaglia leghista, la Flat tax ora trasformata in Dual tax, sembra diventata di gran lunga l’argomento centrale del dibattito, non le pare?
«La Flat tax è un errore madornale sotto tutti i punti di vista. Il solo fatto che possa essere presa in considerazione in un programma di governo serio mi sembra una totale follia».
Chiarissimo. Può spiegarci come giustifica affermazioni così forti?
«I progetti che ho visto circolare in queste settimane, quelli che prevedono un’unica aliquota Irpef e anche quelli che suddividono la platea dei contribuenti in due soli scaglioni, sopra o sotto gli 80 mila euro di reddito annuo, non sono altro che un enorme regalo ai ricchi. Per questo, da una prospettiva di sinistra, una riforma di questo tipo è assolutamente inaccettabile».
Salvini però sostiene che se le famiglie benestanti sono tassate di meno, allora avranno più reddito a disposizione da spendere e i loro acquisti rilancerebbero i consumi e quindi la crescita. Come risponde?
«È un’affermazione priva di fondamento, sia teorico sia empirico. La Flat tax serve solo ad aumentare i risparmi delle fasce più abbienti della popolazione, ma questo non ha effetti sulla domanda. I ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Tutto qui».
Non trova sorprendente che il Movimento Cinque stelle abbia firmato un programma di governo che include una norma come la Flat tax? Prima delle elezioni ne aveva mai parlato con Di Maio?
«No, l’argomento non era mai stato discusso, quanto meno con me. Personalmente sono favorevole a un aumento dell’imposizione sui redditi più elevati, accompagnato da una qualche forma di tassazione supplementare sui grandi patrimoni finanziari».
Ammetterà che in Italia le imprese sono già molto tassate e questo di sicuro non fa bene alla crescita. Il governo parla di ridurre l’aliquota unica sul reddito delle società dal 23 al 15 per cento. È una misura che ritiene efficace?
«Sono dell’opinione che gli investimenti delle imprese siano influenzati non tanto dal livello delle imposte sui profitti quanto dall’andamento della domanda globale. Abbassare le tasse sugli utili serve a poco se il mercato è fermo, se le imprese non sanno a chi vendere i loro prodotti. Vorrei ricordare che negli anni Cinquanta del Novecento, periodo di straordinaria crescita per gli Stati Uniti, il fisco Usa tassava le imprese fino al 60 per cento dei loro profitti. Piuttosto sono molto più efficaci forme mirate di sgravio come la detassazione degli investimenti produttivi che il nostro Paese ha già sperimentato negli anni scorsi con la cosiddetta legge Tremonti».
E intanto il reddito di cittadinanza proposto dai Cinque stelle sembra passato in secondo piano. Per il momento si parla solo di rendere più efficienti i centri per l’impiego.
«È senz’altro un passo indietro. E comunque il successo è tutt’altro che garantito. Se non c’è domanda di lavoro, come per esempio in vaste aree dell’Italia meridionale, anche i centri per l’impiego più efficienti non aiutano granché a risolvere il problema della disoccupazione».
Nel contratto di governo c’è un riferimento molto sfumato al Jobs Act introdotto dal governo di Matteo Renzi. Non viene espressa la volontà di abolirlo, come aveva proposto Pasquale Tridico, indicato prima delle elezioni come ministro del Lavoro dai Cinque stelle. Come spiega questa inversione di rotta?
«Non riesco a spiegarmela, se non come un’ulteriore concessione alla Lega. La mia posizione, che a suo tempo avevo espresso anche ai Cinque stelle, è che l’aumento della flessibilità del lavoro, causato anche dal Jobs Act, contribuisce a ridurre la produttività delle aziende, che possono reclutare manodopera precaria, pagarla poco e mandarla via con facilità. Invece le aziende dovrebbero essere costrette a rinnovarsi, a investire in tecnologia oppure a chiudere se non sono più competitive».
Lei quali misure aveva suggerito a Di Maio per creare occupazione?
«Un primo passo potrebbe essere una politica della spesa pubblica mirata a finanziare progetti che abbiano uno scopo ben preciso. Un esempio, uno tra i tanti possibili, potrebbe essere un piano per arginare il dissesto idrogeologico. Oppure investimenti per l’edilizia scolastica».
Misure come queste si traducono però in nuovi oneri per un bilancio dello Stato già schiacciato da un debito pubblico colossale, in Europa secondo solo a quello greco se misurato in rapporto col Pil. Quali margini di manovra ci restano?
«La spesa pubblica italiana non è affatto insostenibile, tanto è vero che abbiamo un avanzo primario. Cioè al netto della spesa per interessi sui titoli di Stato i conti dell’Italia non sono in deficit. Si tratta quindi di ottenere il via libera dell’Europa, per poter fare, con gradualità, nuovi investimenti. Se però noi ci presentiamo a Bruxelles con un programma economico che prevede una riforma fiscale che crea un buco supplementare di decine di miliardi, mi sembra impensabile che i partner europei ci concedano maggiore flessibilità».
Nonostante le rassicurazioni del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, governi e investitori internazionali sembrano ancora diffidenti sulle reali intenzioni di Roma riguardo l’euro. Nella Lega la corrente sovranista e contraria alla moneta unica è fortissima e anche i Cinque stelle hanno cambiato posizione più volte in proposito. Lei, professore, che cosa aveva consigliato a Di Maio sulla moneta unica?
«La mia opinione è che l’euro sia stato un errore. Non andava fatto così. Non può funzionare una moneta unica che non abbia alle spalle un Paese, o una comunità di Paesi, con un’unica politica fiscale. Ritengo però che la rinuncia all’euro ci costringerebbe a pagare un prezzo altissimo, del tutto insostenibile per il nostro Paese. Quindi dobbiamo rassegnarci e nel frattempo negoziare con l’Europa delle misure condivise che ci garantiscano maggiore flessibilità per rilanciare la crescita»
Per esempio?
«Sono ipotizzabili diverse soluzioni. Si può per esempio pensare di pagare i titoli di Stato in scadenza con altri titoli con durata molto maggiore. In questo modo il debito si spalma su un orizzonte temporale molto più ampio. Un’altra proposta che mi sembra molto market friendly è anche quella che prevede l’intervento di un fondo salvastati (molto diverso da quello attuale) che assicuri il debito dei vari Paesi tramite vere e proprie polizze. Queste soluzioni comportano costi e difficoltà, ma l’inazione, ci espone a rischi maggiori, come quello di continuare a subire la dittatura dello spread, che minaccia di portare fino a livelli insostenibili il costo del debito pubblico. Poi c’è anche un rischio politico, che mi sembra altrettanto grave».
Quale sarebbe?
«Se non si fa nulla, per cambiare le regole del gioco, qualcuno, anche dentro al governo, potrebbe approfittare delle crescenti tensioni con l’Europa per tentare di rovesciare il tavolo. In altre parole per imporre a furor di popolo l’uscita dall’euro. I sovranisti avrebbero così partita vinta con costi enormi per il Paese. Se a questo sommiamo l’impronta oggettivamente razzista e xenofoba che Salvini sta dando a questo governo, la mia preoccupazione aumenta di molto».
Soluzioni?
«Spero che molti parlamentari del Movimento 5 Stelle si rifiutino di appoggiare con il voto questa deriva e che questa alleanza innaturale con la destra abbia fine il più presto possibile. Poi, nel caso, io sarò sempre pronto a dare una mano con i miei consigli».