Fonte:
Comunemente chiamiamo le morti sul luogo di lavoro “morti bianche” perché non hanno un colpevole. Falso! Se fossimo onesti e corretti, dovremmo chiamarle “morti nere” come la coscienza di chi ha la responsabilità di evitare che queste disgrazie accadano proprio sui luoghi di lavoro! La nostra Carta Costituzionale afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Questo dovrebbe presupporre la sacralità del lavoro e la sicurezza nell’esercizio di tale diritto. Di lavoro si dovrebbe poter vivere e non morire. Purtroppo così non è. Queste tragedie continuano a ripetersi.
Non c’è nulla di bianco perché un responsabile c’è e ci deve essere, perché pur sempre di omicidio si tratta e perché oggi nel terzo millennio non si può continuare ad accettare passivamente di morire di lavoro. Non c’è nulla d’innocente in tutto quest’orrore poiché c’è sicuramente un colpevole. Proviamo a ricordarcelo, mentre parliamo, mentre scriviamo. Io aggiungerei di più. Si erra anche quando si parla d’incidente, poiché in tal caso la colpa non dovrebbe essere di nessuno. Non è così! Dovrebbe parlarsi più correttamente di “omicidio sul luogo di lavoro”. Ricordiamoci che tutti lavoratori hanno perso la vita unicamente perché stavano facendo il proprio dovere o piuttosto perché “qualcuno” li aveva messi a fare “qualcosa” senza le dovute precauzioni e, come se non bastasse, per pochi euro.
La scarsa attenzione alla sicurezza ha sempre un responsabile di quanto è accaduto e continua ad accadere ogni giorno sui luoghi di lavoro. Se il lavoratore non è tutelato né dal sistema né da chi lo mette in atto, come si fa poi a cercare un diretto responsabile di ciò che avviene in quei luoghi? Quando accadono queste tragedie, spesso, il primo attore protagonista è il silenzio. Chi ha visto non vuole perdere il lavoro e quindi tace, chi il lavoro lo dà non vuole sentirsi responsabile. Perciò alla fine nessuno dirà una parola. E ancora una volta sarà stata “colpa del destino”, “un normale incidente”, l’ennesima “fatalità”. Viviamo ancora in un sistema del lavoro che è ancora troppo poco attento alla sicurezza, ma anche precario, mal retribuito e di scarsa professionalità. Se ci fosse un’adeguata prevenzione e norme e pene severe per chi non le rispetta, forse si eviterebbero tutti questi morti e le cose probabilmente funzionerebbero un po’ meglio.
E’ intollerabile per un Paese civile come dovrebbe essere il nostro che si assista imperturbabili all’orribile fenomeno di cadaveri di uomini morti sul posto di lavoro e abbandonati dalle aziende (soprattutto edili), sul ciglio di una strada per non dover rispondere alla Giustizia e alla propria coscienza. Nell’ultimo decennio abbiamo perso molti diritti fondamentali dei lavoratori nel silenzio e nell’inerzia generale di chi doveva difenderli. Sono fermamente convinto che l’equità sociale sia il principio cardine per una società che si vuole definire civile e democratica. Il tema dei controlli è un altro aspetto fondamentale che non può esser sottaciuto, anche perché quando accadono tragedie come queste non è mai chiaro chi dovesse vigilare e controllare che i dispositivi di sicurezza fossero operativi. In questa maniera non si riesce mai a stabilire chi sia il responsabile né chi debba rispondere di certe inadempienze. Alla fine la colpa ricade sempre sul lavoratore che così “muore” due volte. Oltre 86mila gli episodi, 82 le vittime. E si tratta solo dei primi due mesi del 2019. Tutte queste tragedie hanno disgraziatamente un comune denominatore: il profitto e il mancato investimento nella sicurezza. Nonostante siano state emanate norme al riguardo nelle quali sono elencate e descritte tutte le misure di tutela e gli obblighi dei datori di lavoro, la situazione a oggi non sembra affatto essere degna di un Paese moderno come il nostro.
Per limitare gli infortuni sul lavoro è imprescindibile sensibilizzare a livello nazionale una cultura della sicurezza, intensificare le prescrizioni di legge e inasprire le sanzioni in modo da assicurare la loro puntuale osservanza. E’ necessario puntare anche sulla formazione ovvero quel processo educativo attraverso il quale i lavoratori e gli altri attori del contesto lavorativo acquisiscono competenze per lo svolgimento dei rispettivi compiti e per l’identificazione dei possibili rischi. A oggi sono queste le armi più adeguate ed efficaci per provare a limitare gli infortuni, poiché è inaccettabile che in una nazione democratica e industrializzata come l’Italia si continui a morire di lavoro.