di Lanfranco Turci – 1 novembre 2017
Avevo già criticato la retorica spumeggiante di Vendola su Grasso “programma politico vivente della sinistra”. L’ho trovata insopportabile e anche irritante al punto in cui stanno oggi le cose nella sinistra.
Noi non abbiamo bisogno di programmi personali, tanto meno di quelli di chi non ha mai preteso di proporli. Ma non abbiamo neppure bisogno di questo giacobinismo dall’alto di Tomaso Montanari. Parlo di giacobinismo dall’alto perchè Montanari dovrebbe sapere bene che egli non è l’espressione di una onda irrefrenabile dal basso, secondo la retorica delle cento piazze, dei programmi scritti dal basso e dei leader votati dalla base. Bensì tipicamente anche lui è frutto della tentazione leaderistica che egli condanna. E’ frutto del solito tentativo di trovare scorciatoie facili per problemi complessi.
E così si è apprestato il Brancaccio e si è chiesto a due persone che hanno ben figurato nella battaglia per il referendum di rompere lo stolido incantamento che si era determinato attorno a Pisapia. Ma in qualche modo, con l’ambiguità tipica delle forze deboli, si è chiesto loro (o si è lasciato intendere) anche di fare l’impossibile. Quello che toccherebbe alle forze organizzate e ai loro responsabili di fare: ossia definire le linee di una intesa fra le forze della sinistra per mettere in campo un quarto soggetto che non si rassegni a fare da spettatore nello schema tripolare, ma riproponga la esistenza di una forza autonoma della sinistra che possa inserirsi nel gioco con una sua credibilità, senza dare per definitivo l’assetto politico attuale e senza condizionarsi all’attesa del cambio miracolistico del Pd, che è la vera fissazione di Bersani.
Il problema è che Montanari ha pensato davvero di avere ricevuto nelle mani lo scettro. Quello scettro che non potrebbe avere neppure Grasso se fosse indicato come il rappresentante simbolico della futura lista della sinistra. Perchè quello scettro non c’è e al massimo potrà funzionare come una entità collegiale, rappresentativa delle diverse anime che confluiranno in quel progetto, con l’impegno di costruire dopo le elezioni un nuovo soggetto partitico, quale al momento non sono nè Mdp, nè Sinistra Italiana, nè Possibile, nè il Brancaccio.
Capisco la impazienza di Montanari che è quella di tutti noi che aspettiamo da settimane parole chiare.
Ma se Montanari pensa di risolvere il problema con le sue facoltà demiurgiche, se pensa che sia possibile con l’attacco scomposto a Grasso o con l’appello tardosessantottino al rovesciamento del sistema, sbaglia di grosso.
Io vorrei più modestamente che Si, Mdp, Possibile e chi altri è coinvolto, uscissero dal pasticcio in cui si sono incartati, pubblicassero il documento cui stanno lavorando da settimane e dessero il via a una vera consultazione di massa. Mi dispiace che le elezioni siciliane diventino l’ennesima giustificazione del rinvio. Poi vorrei che le assemblee nei territori si misurassero su quella dichiarazione di intenti e dessero credibilità a quel minimo comun denominatore che deve costituire la ragione della nostra sfida elettorale.
Aggiungo che se Grasso accettasse di presiedere la lista elettorale la riterrei una notizia positiva.
ecco l’intervento di Tomaso Montanari
Caro Nichi, Grasso non è “un programma politico vivente”
Provo una istintiva simpatia, e una ovvia stima di fondo, per Pietro Grasso. E guardo con ammirazione, gratitudine e affetto alla figura di Nichi Vendola. Sono due pezzi della Sinistra che vorrei.
Ma quella Sinistra la vorrei più larga, coraggiosa, innovativa. Capace di parlare a tutti, e di fare una politica diversa.
Una politica in cui le case non si costruiscono dai tetti. Credo profondamente che uno dei drammi della politica italiana sia questa, apparentemente insanabile, deviazione leaderistica. Una deviazione endemica a destra, capace di sfigurare il Pd di Renzi, e alla fine fatale anche per i 5 Stelle, prigionieri della dinastia Casaleggio e prostrati davanti al trono di Di Maio.
Ma nemmeno la Sinistra riesce a essere diversa. Hai voglia a dire che la cosa importante sono le cose, il progetto, il programma. Hai voglia a dire che i portavoce si decidono solo dopo, e dal basso. Hai voglia a parlare di rinnovamento. Hai voglia a parlare di leadership plurale. Di parità di genere. Quando all’orizzonte della cronaca effimera del Palazzo si profila un autorevole maschio, in età sufficientemente alta, ecco il leader bell’e fatto: ne abbiamo visti più di uno, negli ultimi mesi.
E il “noi” ridiventa subito un “io”: nel trionfo di autoreferenzialità che è il vero disastro di questa sinistra ombelicalmente romana.
È un problema di metodo: la tentazione della bacchetta magica personalistica vince ogni altra aspirazione. Svelando che la Sinistra non si afferma perché non è abbastanza diversa: perché non pensa diversamente, perché non ha il coraggio di praticare, e non solo di predicare, un altro modo di fare politica.
Ma è anche un problema di merito. Perché tutto quello che ho detto resterebbe vero anche se si parlasse, che ne so, di Maurizio Landini. Ma almeno si capirebbe cosa stiamo dicendo. E invece no.
Con il massimo rispetto per la persona e per il ruolo istituzionale, vorrei sommessamente dire che il presidente del Senato per me non “rappresenta un presidio vivente dell’Italia della Costituzione repubblicana”. In questa legislatura è successo di tutto: il Pd di Renzi ha fatto strame in ogni modo della Costituzione. E Grasso ha deciso di lasciare il Pd (e non lo scranno altissimo in cui il Pd l’ha collocato) quando ormai tutto è compiuto, fiducia sul Rosatellum compresa (una fiducia che poteva, e doveva, non essere concessa): un epilogo sul quale il moderatissimo Stefano Folli ha scritto cose difficilmente controvertibili.
Sia chiaro, non avrei chiesto a Grasso di fare chissà quali gesti e oggi sono felice che egli sia uscito dal Pd: un importante elemento di chiarezza, che strappa dal vero volto del partito di Renzi un altro pezzo di velo. Ma da qua a definire Pietro Grasso “un presidio vivente della Costituzione” c’è un passo che il senso della realtà consiglierebbe di non compiere.
E, soprattutto, davvero non riesco a capire come Grasso sarebbe “per noi, un programma politico vivente”. Sono un alieno, un marziano digiuno di politica politicata – i professionisti non fanno che ricordarmelo, e li ringrazio –: e forse è proprio per questo che non riesco a capire come sia possibile dire ogni giorno che le politiche di destra del Pd hanno sfigurato il Paese, e poi dire che, fino a giovedì scorso, il nostro programma politico era nel Pd.
Qui arriviamo al nocciolo della questione: che non è personale, ma è culturale.
Il motivo per cui milioni di giovani preferiscono i 5 Stelle alla Sinistra è che quest’ultima non ha il coraggio di dire che bisogna rovesciare il sistema. Un sistema che lascia fuori della porta metà del Paese. Una Sinistra troppo preoccupata di ‘rassicurare’ gli spettatori dei talk show, apparendo moderata, affidabile, “di governo”. Una Sinistra che, raccontando a se stessa che è tattico scegliere un servitore dello Stato, finisce col raccontare a tutti gli altri che sta scegliendo di servire lo stato delle cose. Una Sinistra convinta di non vincere perché troppo alternativa: e che invece non convince, e non vince, perché è troppo timida, conformista, prevedibile. Una Sinistra che non può dire di voler rifare lo Stato dalle fondamenta candidando chi per cinque anni è stato il numero due dello Stato. Anche se si tratta di una eccellente persona, come in questo caso. Una Sinistra subalterna al Pd: perché si autocondanna a ruotare intorno all’elettorato, e al ceto politico, di quel partito, come un satellite ruota intorno a un sole malato. Una Sinistra che sembra non trovare altre parole, altre persone, altre biografie.
Commentando il suo eccellente risultato elettorale, Corbyn ha detto: “i commentatori si sono sbagliati”. Ecco, abbiamo bisogno di una Sinistra che spiazzi i commentatori politici, non che ne assuma la logica tutta interna e autoriferita.
Pensiamoci: smentendo ogni logica di scelta dal basso, si usa un metodo di investitura interno al sistema (ripeto: dal “noi” all’ “io”) per scegliere un pezzo eccellente del sistema che (da qualche ora) sembra essersi dissociato.
E senza chiedersi cosa, quel pezzo, pensi di tutte le questioni cruciali intorno alle quali stiamo costruendo il progetto di questa nuova Sinistra. Perché chi sa cosa pensa l’ottimo Pietro Grasso del reddito di dignità, o della riforma Fornero o della progressività fiscale? Non lo sappiamo perché il suo ruolo gli imponeva di non farcelo sapere: ed è giusto che sia così. Ma come facciamo, allora, a dichiararlo “programma politico vivente”?
È proprio imboccando queste scorciatoie che la politica dei politici si trasforma in gioco di prestigio indifferente alla realtà del mondo. Ed è allora che il mondo, giustamente, le volta le spalle.
Il “programma vivente” di una Sinistra coraggiosa, nuova, anti-sistema, capace di parlare come parlano Jeremy Corbyn e Pablo Iglesias non potrebbe mai essere un pezzo apicale (per quanto pulito) del sistema: ma dovrebbe semmai essere un precario, una donna discriminata, un disoccupato, un povero, un ricercatore in fuga all’estero, un migrante. Una lavoratore piegato del Jobs act, un insegnante umiliato dalla Buona Scuola, un soprintendente spezzato dallo Sblocca Italia: non un esponente di spicco del partito che ha fatto tutto questo.
Francamente non so come andrà a finire il tentativo di costruire una lista di Sinistra che non sia solo la somma dei partiti in Parlamento a sinistra del Pd e del loro ceto politico.
Ma so che senza coraggio, senza fantasia, senza la capacità di liberarsi da complessi di inferiorità, conformismi, mimetismi, tatticismi e attese messianiche del leader questa Sinistra continuerà a parlarsi allo specchio, i Cinque Stelle continueranno a trionfare, e mezza Italia a non votare.
Quando ci decideremo a invertire la rotta?
1 commento
I rottami della vecchia e nuova repubblica sono incompatibili con le intenzioni rivoluzionarie di Montanari,su questo non vi sono dubbi.