di Moni Ovadia 20 giugno 2018
La ziganofobia è una delle forme più ripugnanti e vili di razzismo, prova di un’imbecillità senza limiti. Quasi nessuno di coloro che agitano lo spettro dei Rom e dei Sinti conosce la loro Storia, né le loro storie.
Questi scervellati non hanno mai avuto l’opportunità di frequentarli, di ascoltarne le ragioni, di percepirne la specificità culturale ed esistenziale, vivono di pregiudizi, di sentito dire, di impressioni esteriori prive di senso.
Gli imprenditori del panico, delle paure irrazionali sanno che elettoralmente rende molto prendersela con gli ultimi, con gli indifesi che risultano “estranei” per l’uomo della strada, figura retorica, inesistente parametro della più sudicia propaganda. dell’odio.
Inoltre bisogna essere davvero infami per prendersela con chi non ha una nazione che lo difenda, che non può mettere in campo forze economico finanziarie per arginare le politiche persecutorie pensate e concepite come perfetta arma di distrazione di massa.
Ma francamente più ancora dell’odio, della brutalità e della violenza colpiscono e offendono la stupidità e la vacuità dell’operazione pensata dal già cacicco padano, ora Gran Vizir nazional-sovranista: censire gli zingari ed espellere i “clandestini”, gli “illegali”.
Un simile censimento nella nostra Repubblica dovrebbe essere anticostituzionale, ma qualora per assurdo si potesse fare, quali ne sarebbero gli esiti concreti? 26 mila Rom espellibili perché non italiani e neppure comunitari.
Il grande problema dell’Italia: 26 mila “alieni” su 60 milioni di autoctoni! Come mi faceva osservare un amico, il giornalista Lorenzo Alvaro, non si tratta neppure di una statistica. Come può dunque essere creduto un ciarlatano la cui proposta politica poggia sul nulla?
Tutto dipende da un vecchio trucco di tutte le demagogie, reiterare una falsità facendo perno su un sentimento diffuso nelle pseudo democrazie, corrotte e indebolite da classi dirigenti indegne che ne hanno eroso i valori per interessi di fazione o di casta.
Le falsità che scatenano panico nei confronti delle marginalità sono le più efficaci, nella fattispecie i Rom e i migranti.
In tempi di crisi e di mancanza di punti di riferimento, avere un nemico su cui scaricare le frustrazioni, causate, sia chiaro solo ed esclusivamente dal malgoverno e sfogare la rabbia sociale sull’eterno “altro” aiuta perversamente a non assumersi responsabilità.
Il cittadino, l’elettore non sono innocenti per definizione, devono anch’essi assumersi il carico di responsabilità altrimenti contribuiscono a distruggere una democrazia.
Ora è mia opinione che noi in Italia si sia ad una svolta.
Il cazzaro verde, per mutuare una felice espressione di Marco Travaglio adesso sta esagerando. Dal fare il mestiere del populista – si! mestiere, perché quello che fa Salvini non è politica ma redditizio mestiere -, si è montato la testa, si comincia a prendere troppo sul serio, agitando come Torquemada il Vangelo. Capita, a certe nullità dall’ego ipertrofico, noi abitanti dello Stivale ne sappiamo qualcosa.
Adesso tutte le persone con un po’ di sale in zucca è tempo che alzino il tiro, a partire dalle comunità ebraiche che si segnalano già per l’inquietudine, ma che dovrebbero fare molto ma molto di più rifiutando radicalmente ogni contatto con certi politici e non mercanteggiando indulgenze con essi in cambio di strumentali benevolenze verso le porcherie perpetrate dal governo di Israele a danno del popolo palestinese.
Un luminoso esempio è venuto proprio da una straordinaria donna ebrea, la senatrice a vita Liliana Segre che ha assunto come priorità non negoziabile la difesa della minoranza Rom e Sinta.
È compito imperativo di ogni persona per bene fare sentire la propria voce per fermare questa deriva, sinistra e ridicola ad un tempo, per ritrovare il senso primo di ogni civiltà del diritto.
E si presenta anche l’occasione di ritornare ai fondamenti della costituzione dell’Europa unita facendo capire a certi governi che è troppo comodo ingozzarsi con contributi comunitari per dare forza a politiche persecutorie nei confronti degli ultimi.