Fonte: huffingtonpost
di Andrea Ranieri – 10 novembre 2017
Penso da sempre, e potrei allegare molte prove al proposito, che il momento peggiore per ricostruire un’idea credibile di sinistra che voglia rimettere radici nella società sia quello elettorale. E questo vale anche per l’esperienza che si è aperta al Brancaccio.
Il Brancaccio si è mosso ed è cresciuto a partire da due convinzioni. Che per porre un argine alla crisi e alla perdita di credibilità della politica bisognasse mobilitare e dare la parola alla società civile attiva, quella che nei luoghi di vita e di lavoro non ha smesso di impegnarsi sui terreni della solidarietà dell’uguaglianza, e che per far questo occorresse muoversi con il massimo di respiro unitario, perché le persone che si muovono su questi terreni non si dividono su discriminanti ideologiche, ma valutano la politica sugli spazi che apre alla loro azione diretta nella concretezza e nella quotidianità del conflitto sociale e delle loro azioni per rendere il mondo più vivibile.
Il Brancaccio si era dato come compito di ricongiungere la sinistra politica fuori dal Pd che faticosamente esiste e resiste, a questo mondo che ha provato a fare i conti, nei luoghi della vita e del lavoro, ai guasti prodotti negli anni dal liberismo dominante, a provare a fare il “noi” rispetto all’individualismo degli stili di vita e dei comportamenti, che è il modo in cui il mercatismo ha conquistato anche le nostre anime.
Il progetto non poteva che essere radicale, perché si tratta di invertire la rotta rispetto a decenni di politiche che al neoliberismo hanno aperto la strada, e che hanno visti protagonisti anche uomini della sinistra storica, e che hanno portato a quello stato di cose che papa Francesco ha definito come la “bancarotta dell’umanità“, ben più grave delle bancarotte delle banche.
Al Brancaccio ci si è proposto non solo di darsi gli obiettivi per cui valga la pena impegnarsi, ma di farlo provando ad attivare su questi i soggetti in carne e ossa che questi obiettivi fanno vivere ogni giorno, in un’idea di democrazia e di partecipazione che non si limiti alla delega elettorale.
Questo progetto deve oggi fare i conti con le elezioni, e con l’avanzata di una destra che ha a oggi come unico argine, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, il Movimento 5 stelle. Fino a rendere possibile un Parlamento in cui con una maggioranza di due terzi si può addirittura stravolgere la Costituzione senza passare dal referendum.
E per impedirlo non si può certo contare, dati i precedenti, sul Pd di Renzi. E allora per un popolo che si era unito per difendere la Costituzione, e per cui l’attuazione della Costituzione è il punto fondamentale del proprio programma, che ci sia in Parlamento un nutrito gruppo di donne e di uomini disposti a battersi perché la Costituzione non sia stravolta è l’imperativo fondamentale. Dalla difesa della Costituzione passa la stessa possibilità di praticare il conflitto politico sociale.
La lista unica di sinistra ha prima di tutto questo obiettivo. Di unire tutti coloro che allo stravolgimento della Costituzione si sono opposti e si oppongono. Che sono indubbiamente, per storia e cultura politica, diversi tra loro. E che per unirsi hanno bisogno di un po’ di umiltà e di un po’ di buon senso.
Se qualcuno pensa che c’è un popolo di ex Pci, poi diventati “diessini”, poi traghettati nel Pd, e ora deluso dalla deriva renziana, pronto a ripartire da dove l’avevano lasciato Bersani e D’Alema, e che quel popolo sia sufficiente a garantire un buon esito elettorale, commetterebbe un grave errore.
E il deludente risultato di Fava in Sicilia, frutto di una alleanza tutta fra i partiti della sinistra, da Mdp a Rifondazione, e lì a dimostrarlo, soprattutto dopo che si era pensato che addirittura potesse superare in voti il polo costruito attorno al Pd. Penso addirittura che la stessa riconquista di quel popolo deluso passi per la capacità di discontinuità e di innovazione, sia nei programmi che nella facce che devono rappresentare quei programmi in Parlamento.
Ma d’altra parte trovo del tutto illusoria l’idea che basti cambiare le facce e urlare un po’ più forte alcuni contenuti programmatici per riportare a votare il popolo dell’astensione, i poveri delle periferie, la gente la cui vita è stata sconvolta dalle politiche neo liberiste. Per riconquistare un rapporto tra i poveri e la politica, ci sarà bisogno di un lavoro di anni, duro e paziente, ma che può riempire di gioia chi lo fa, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri.
Quel lavoro, di costruzione di una nuova soggettività politica, che era poi il messaggio fondamentale uscito dal Brancaccio. Bisogna fare in modo che le elezioni non segnino una battuta d’arresto di questo percorso. Perché se è vero che le elezioni, anche se andassero benissimo, non bastano a costruire una nuova soggettività politica, se vanno male, soprattutto se la sinistra che si pensa di alternativa si presentasse divisa, segnerebbero un arretramento, per molto tempo difficilmente rimediabile, del percorso per reinsediare la sinistra nella società.
Perché questo non avvenga bisogna provare a mettere insieme le diverse anime e culture che oggi sono impegnata a costruire un’alternativa ai poli politici esistenti. E di farlo in maniera trasparente e democratica. Aperto alla più ampia partecipazione popolare. Senza mettere la sordina alle diversità, ma sapendo che per raggiungere l’obiettivo servono i voti di tutti. Dei delusi del Pd, e dei giovani e dei non più giovani che al Pd non hanno mai guardato. Del popolo dei politicizzati e del popolo, a volte lontanissimo dalla politica istituzione, che si impegna nel lavoro sociale.
Da questo punto di vista il documento varato da Sinistra Italiana, Mdp, Possibile, col contributo decisivo di Anna Falcone e Tomaso Montanari è un buon avvio di percorso. Ancor di più se si saprà recuperare nel percorso anche Rifondazione Comunista e l’Altra Europa per Tsipras. Per provare a portare in Parlamento un po’ di persone, le più nuove possibili, le meno compromesse con un passato non certo glorioso, impegnate nella difesa e nel rilancio della Costituzione, e che provino a essere la sponda istituzionale delle lotte e dei conflitti che sapremo sviluppare nella società. Con buon senso e senza alzare i toni del confronto. In fondo si tratta solo di elezioni.
Andrea Ranieri sull’Huffington Post