Misurare gli applausi.
Alcuni giorni fa non ho potuto resistere e, in qualità di lettore abituale del Corriere della Sera, ho inviato una lettera al mio Quotidiano di riferimento. Assai breve, come si conviene in questi casi. Il destinatario, l’ottimo giornalista Aldo Cazzullo, si era, tuttavia, già pronunciato sul medesimo argomento. Di conseguenza, era logico che non volesse ritornarci per i miei begli occhi.
Il non venire pubblicati, quando si sostengono tesi molto minoritarie e non poco anticonformiste, è cosa che mi dà particolare fastidio. Non per sciocca vanità personale, ma per la nostalgia di quella cosa che per noi liberali è sacra e che si chiama libertà di stampa. Senza la quale un Paese libero non è veramente tale. Eccetera, eccetera.
Riporto, senza variare alcunché, i contenuti della mia breve letterina, finita nel cestino. «Il discorso del Presidente Mattarella è stato interrotto 55 volte dagli applausi dei grandi elettori. Questi si sono mostrati felici, come bambini, di poter esprimere consenso ad un discorsetto retorico, intriso di buoni sentimenti. A che serve la rappresentanza politica quando essa dimostra, continuamente, di non sapere fare, ma si limita ad enunciare solennemente cosa si “dovrebbe” fare, piagnucolando ed indignandosi poi per ciò che non si è fatto?
Tra le cose che questa rappresentanza politica non sa fare, c’è l’assicurare il fisiologico ricambio delle cariche istituzionali, alla loro scadenza. La gerontocrazia non può essere una soluzione efficiente. In ogni caso, una buona regola che vale, in ogni occasione, per tutte le persone serie, è: parchi di applausi». Fine del testo.
Ho fatto successivamente una ricerca per verificare se la questione della “gerontocrazia”, ossia del potere attribuito ai vecchi, fosse stata diffusamente affrontata da qualcuno. Ho riscontrato che se ne era già occupato Pietrangelo Buttafuoco. Intellettuale che a me piace perché è abituato a “praticare” la libertà di stampa, non limitandosi a declamarla, come fanno i più. Oltre tutto è siciliano, ossia un po’ passionario e un po’ sanguigno, come sono io; quando non mi riesce di essere un kantiano, puramente razionale.
A me ha fatto davvero impressione che fra i candidati alla carica di Capo dello Stato, rappresentante dell’unità nazionale, ci fosse una nutrita sequenza di ottuagenari, tutti più o meno arzilli (alcuni, anche, un po’ “rincoglioniti”, se mi si passa l’espressione; che riferisco doverosamente per primo a me stesso. Non sono ottuagenario, ma ho la mia brava malattia, assai limitante).
Ricordo che sono stati considerati candidati credibili: il giurista Sabino Cassese, 86 anni compiuti; il giornalista Gianni Letta, 86 anni compiuti; l’ex presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, 85 anni compiuti; il giurista ed ex presidente del Consiglio dei ministri Giuliano Amato, 83 anni compiuti; l’ex presidente del Senato Marcello Pera, 79 anni appena compiuti. Non c’è qualcosa di strano, di stridente, posto che il mandato del Presidente della Repubblica dovrebbe avere la durata di sette anni?
Nulla di strano, concludo io, che sono malpensante: questa è l’ennesima conferma di quanto sia scadente la qualità di coloro che vengono ritenuti i principali leader dell’attuale classe politica. E di quanto cinismo, di quanto “pelo sullo stomaco”, diano quotidiana dimostrazione, in particolare, i più alti dirigenti del Partito Democratico. Inclusi gli immancabili docenti di diritto costituzionale, nella loro consueta funzione “servente”.
Nel migliore dei mondi possibili, bisognerebbe pensare a modificare la Costituzione, nel senso di limitare il diritto di elettorato passivo per l’accesso a determinate cariche. Se hai compiuto 80 anni non puoi più essere eletto alla carica di Presidente della Repubblica. Qualora si abbiano ancora sufficiente cervello e sufficiente salute si potranno sempre rendere ulteriori preziosi servizi alla comunità sociale e alla Patria: si potranno scrivere testi scientifici, libri di memorie, si potranno dare buoni consigli, eccetera. La diretta responsabilità istituzionale, invece, no; perché è la comunità nazionale che chiede di essere rappresentata da persona in perfetta efficienza, capace di fare fronte anche ai ritmi di lavoro più stringenti e alle emergenze più stressanti.
Esattamente per questi motivi criticai, in forma pubblica, il secondo mandato al Presidente Giorgio Napolitano e mi permetto di dissentire, con nettezza, rispetto al conferimento del secondo mandato al Presidente Mattarella.
Questi è una persona intellettualmente onesta ed aveva anche motivato, con buoni argomenti di diritto costituzionale, perché fosse contrario alla rielezione. Egli ha, tuttavia, un limite caratteriale ed un limite ideale. Il primo consiste nel non sapere mettersi contro ciò che la stragrande maggioranza della popolazione sembra pensare. Il limite ideale consiste nel fatto che è un cattolico democratico. Non un cattolico “liberale”, alla maniera di Alessandro Manzoni, o di Alcide De Gasperi. Un cattolico democratico, della scuola di Dossetti, La Pira, Fanfani, o Moro. Tanto di cappello, si dirà. Alcuni però sono ancora in grado di valutare la differenza.
Un cattolico democratico è sempre pronto a piegarsi per “spirito di servizio” nei confronti degli altri. Un laico liberale, invece, preferirà farsi ammazzare piuttosto che fare una cosa che la sua coscienza gli dice essere profondamente sbagliata. Se sessanta milioni di persone “spingono” affinché si faccia cosa contraria a quanto comanda la coscienza, il laico liberale risponderà semplicemente, ma con una tenacia incrollabile, “si fottano!”.
Qualora fosse stato a tutti chiaro, ma davvero chiaro, che il Presidente uscente non sarebbe stato, comunque, disponibile ad una rielezione e anzi avrebbe fatto mettere alla porta dai corazzieri chi avesse avuto il cattivo gusto di insistere, pure i dirigenti politici con tanto cinismo e tanto “pelo sullo stomaco” sarebbero stati costretti a trovare altre soluzioni.
Palermo, 06 febbraio 2022.
Livio Ghersi