Fonte: PoliticaPrima
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di Giangiuseppe Gattuso – 20 giugno 2015
Tornano i muri. E continua la vergogna di società evolute, opulente, egoiste. Di “paesi” prosperosi, nei quali ricchezza e benessere vanno di pari passi con xenofobia e razzismo. In un’Europa arroccata, chiusa in se stessa e sempre più un insieme di staterelli paurosi e attenti a non scontentare le ‘pance’ dei loro cittadini. Che si rimpallano la gestione di quote d’ingresso, mentre attuano procedure inflessibili di respingimento. Dimenticando colpevolmente i 23.000 morti del Mediterraneo dal 2000, e carezzando l’idea di mettere in discussione il trattato di Schengen. Uno dei pochissimi obiettivi dell’Unione” realizzati, e straordinariamente bello.
Ovviamente per limitarne gli effetti. Al punto d’immaginare la costruzione di barriere invalicabili perché non passino da questa parte. Loro, i neri, e pure musulmani, quelli che vogliono invaderci. Come se non bastassero i Rom con i loro campi, abusivi, sporchi, senza voglia di lavorare. Che rubano e rapiscono i bambini. Perché noi siamo diversi, abbiamo la nostra identità, le nostre tradizioni, l’orgoglio di cittadini di un popolo fiero… cattolico, e seguaci di Francesco.
L’idea lanciata dal primo ministro ungherese Orbàn, una barriera lunga 175 chilometri e alta quattro metri, al confine con la Serbia, è l’ultima della serie. Per bloccare chi arriva a piedi da lontano, macinando chilometri ogni giorno per fuggire dall’orrore, per afferrare un sogno. E arriva dopo l’ipotesi di bombardamento dei barconi vuoti nei posti di partenza, o la costruzione di “centri di accoglienza” al di la del mare, per non farli allontanare troppo dalle loro terre. Per evitare che possano farsi male.
Ma quattro metri di altezza non bastano, in fondo non è poi così difficile saltarlo. È la preoccupazione di qualche ungherese che abita vicino al confine. E per la verità la nostra vicina e cattolicissima Spagna sperimenta ogni giorno a Melilla, la città autonoma sulla costa orientale del Marocco, la validità delle sue ben più alte barriere.
Cancellando anche la storia.
Racconta Franco Gentile, prezioso autore e commentatore di PoliticaPrima. “Nel 1956 lavoravo al Centro Emigrazione di Genova quando scoppiò la famosa rivoluzione ungherese. E su incarico del Direttore, per un mese intero ogni giorno lasciavo Genova nel pomeriggio e arrivavo a Tarvisio verso la mezzanotte, insieme ad un interprete del Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee. Prendevamo in consegna uno o due vagoni provenienti dall’Austria, stracolmi di “profughi”, gente disperata che fuggiva dalla Patria in rivolta.
Ripartivamo subito alla volta di Genova e durante il tragitto mettevamo ordine fra quella gente, dando loro una identità e una speranza. A Genova verso le nove della mattina raggiungevamo il porto e quella gente veniva imbarcata su navi dirette in Canada, Australia e Stati Uniti. Qualche volta, non essendo le navi pronte li alloggiavamo per giorni presso il Centro.
Ancora oggi ho presente l’ansia, la speranza, la gioia della libertà impresse negli occhi di quelle creature che sfuggivano alla schiavitù del loro paese verso la LIBERTÀ! Quella ritrovata loro speranza di vita la porto ancora con me ed è ciò che alimenta il mio amore verso le creature che approdano oggi sulle nostre coste con la stessa ansia e la stessa speranza di quegli ungheresi del ‘56 e con grande tristezza mi chiedo come possono aver dimenticato gli ungheresi di oggi la stessa speranza che fu dei loro padri”.
E allora che fare. Continuiamo ad alimentare la paura, lanciamo accuse, ci preoccupiamo dei costi, del lavoro che non c’è, e anche delle indegne speculazioni. Siamo contro gli scafisti, ma anche contro i centri di accoglienza e le operazioni di soccorso in mare. Costano troppo anche quelli e poi dobbiamo pure assisterli. E trasformiamo una grande operazione umanitaria, una missione di solidarietà e di accoglienza in un’arma potente di scontro elettorale. Che vergogna. Da chiunque provenga. Lega, destra, centro, sinistra. E pure dai grillini.
Adesso attendo. Da quando ho sentito la forte indignazione sulla tragedia del barcone affondato a 60 miglia dalla Libia con circa 800/900 esseri umani, domenica 19 Aprile 2015.
“Andremo a riprendere il barcone in fondo al Mediterraneo. Il mondo deve vedere. Costerà 15-20 milioni di euro, spero pagherà l’Unione europea se no pagheremo noi, ma tutti devono vedere quello che è successo, voglio che smettano quelli che fanno i furbi e ci fanno le lezioni“. Parole solenni di Matteo Renzi. Bellissime e significative, un segnale forte degne di uno statista e di un cattolico, come lui ė.
Ė trascorso, però, un mese pieno. E io nella “Giornata mondiale del rifugiato” attendo speranzoso, sicuro che questa volta il “Giovane Fiorentino” non mi deluderà.