Fonte: Il Manifesto
di Martina Della Croce – 12 settembre 2018
Tragedia in mare. I sopravvissuti hanno raccontato i dettagli al personale di Msf che li ha assititi in Libia. Erano partiti su due gommoni, oltre 160 persone su ognuno, provenienti da Sudan, Mali, Nigeria, Camerun, Ghana ma anche dalla stessa Libia oltre che da Algeria ed Egitto.
Sono rimasti per ore in mare, intorno ai resti del gommone affondato. Il primo soccorso è arrivato sotto forma di giubbotti e scialuppe gonfiabili, lanciati dagli aerei delle missioni ufficiali che pattugliano il Mediterraneo, ma hanno dovuto attendere ore perché la Guardia costiera di Tripoli arrivasse con le motovedette. Il risultato sono stati oltre cento dispersi, tra cui una ventina di bambini, due i cadaveri recuperati.
IL NAUFRAGIO È AVVENUTO il primo settembre, i 55 sopravvissuti hanno raccontato i dettagli al personale di Medici senza frontiere, che li ha assistiti in Libia. Erano partiti all’alba del primo settembre su due gommoni, oltre 160 persone su ognuno, provenienti da Sudan, Mali, Nigeria, Camerun, Ghana ma anche Libia, Algeria ed Egitto.
Uno dei due mezzi si è fermato quasi subito per un guasto al motore però i tubolari hanno retto, così il giorno dopo sono stati tutti recuperati dalla Marina libica. L’altro ha continuato la traversata ma, verso le 13, ha cominciato a sgonfiarsi: «Il telefono satellitare ci indicava che non eravamo lontani da Malta – hanno raccontato i superstiti -. Abbiamo chiamato la Guardia costiera italiana dando le nostre coordinate e chiedendo assistenza. Ci hanno detto che avrebbero mandato qualcuno. Le persone cominciavano a cadere in acqua perché il gommone affondava». I soccorsi sono arrivati ma non via mare: «Da un aereo hanno lanciato zattere di salvataggio – hanno spiegato – ma eravamo già tutti in acqua, il gommone si era capovolto. In pochi avevano i giubbotti di salvataggio, quelli che potevano aggrapparsi ai resti del relitto sono rimasti in vita. Poche ore dopo, sono arrivati altri soccorritori, sempre in aereo, lanciando altre zattere».
Solo in 55 sono sopravvissuti. Tra i morti due gemelli di 17 mesi, annegati con i genitori. «Potevano essere salvati se i soccorsi fossero arrivati prima» raccontano i naufraghi che, alla fine, sono stati raccolti dalla Guardia costiera libica, insieme a quelli che erano sull’altro gommone. In 276 il 2 settembre sono stati portati indietro a Khoms, 120 chilometri a est di Tripoli.
GLI OLTRE CENTO ANNEGATI dell’ennesimo naufragio rendono sempre più difficile la posizione del governo italiano, alle prese con le accuse delle procure siciliane per il caso Diciotti. Così da Roma ieri pomeriggio è arrivato il tentativo di liquidare la vicenda: l’intervento sarebbe avvenuto in area Sar (Ricerca e soccorso, ndr) libica, con Tripoli che ne ha assunto la gestione. La centrale operativa della Guardia costiera italiana ha ricevuto la segnalazione e l’ha girata alle autorità Sar competenti, recita la giustificazione.
I sopravvissuti al naufragio avevano bruciature causate dalla miscela di carburante e acqua salata, infezioni polmonari e problemi respiratori. «Siamo riusciti a trattare 18 casi urgenti, tra cui nove persone con ustioni chimiche estese fino al 75% del corpo – ha spiegato ieri Jai Defransciscis, infermiera di Msf a Misurata -. Un paziente in pericolo di vita è stato trasferito in ospedale».
IL GRUPPO È STATO PORTATO in un centro di detenzione sotto il controllo delle autorità di Tripoli. Tra gennaio e agosto di quest’anno, la Guardia costiera, supportata dall’Ue, ha riportato in Libia 13.185 migranti e rifugiati. Nei centri di Khoms e dintorni ci sono anche bambini, neonati, donne incinte e persone in gravi condizioni di salute. «Come possono guarire – prosegue Defransciscis – se sono rinchiusi in celle con condizioni igieniche precarie, dormono su coperte direttamente sul pavimento, che causano un dolore incredibile per chi ha ustioni gravi? Alcuni di loro non possono nemmeno sedersi o camminare. Ci sono pazienti con gravi infezioni toraciche causate dalla prolungata permanenza in acqua».
I MIGRANTI E I RIFUGIATI, spiega ancora Msf, vengono imprigionati per un tempo indefinito senza alcuna protezione di base o la possibilità di fare ricorso legale. Tra i detenuti, il team di Medici senza frontiere ha incontrato migranti che hanno avuto accesso alla protezione dell’agenzia Onu Unhcr ma il percorso avviato nel 2017, che prevede l’evacuazione e il rimpatrio nel paese d’origine (per chi accetta), è ormai bloccato da mesi. Così restano in una detenzione arbitraria, in balia dei trafficanti.
I combattimenti a Tripoli, iniziati il 26 agosto, hanno reso la situazione ancora più pericolosa. «Bisogna accelerare con i percorsi per farli uscire dal paese – conclude Msf -. Soprattutto, bisogna smettere di intercettarli in mare per riportarli in Libia come mezzo per bloccare gli arrivi in Europa».
Dal primo gennaio 2018 sono oltre 1.600 le vittime decedute durante la traversata del Mediterraneo centrale (rispetto ai 2.564 dello stesso periodo del 2017), nonostante il calo dell’80% degli sbarchi: da 99mila del 2017 a 20mila.