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di Luca Billi, 5 aprile 2017
Qualche settimana fa uno studente di New York, mentre andava in metropolitana, ha scattato questa foto e, come fanno tutti i suoi coetanei – e non solo – l’ha immediatamente condivisa sui social. Il suo obiettivo non era quello di ottenere molti like per un’immagine curiosa, ma quello di protestare, attraverso questa foto, contro Trump e contro l’America di Trump, l’America dei muri, l’America razzista e bigotta che ha votato per quel presidente. Naturalmente in tanti hanno condiviso la foto e lo spirito ottimista e democratico di chi l’ha scattata, ma molti altri hanno visto in questa immagine il segno della decadenza di quel paese e della nostra società. Inevitabilmente questa foto dà fastidio a tante persone, per i motivi più diversi, molti si sentono offesi a vedere una donna che indossa un niqab e altrettanti – spesso gli stessi – detestano quel ragazzo che indossa abiti femminili. Poi ci sono quelli che trovano normale che una donna indossi quel pesante velo, anzi pensano che sia l’unico abbigliamento adeguato a lei e considerano sacrilega l’altra persona, mentre ci sono altri che trovano normale che un uomo indossi gonna e parrucca e un’offesa ai diritti delle donne il velo imposto da una religione. Questa foto divide, anche se vorrebbe unire.
Sappiamo che la “rossa” ritratta nella foto l’ha apprezzata, l’ha condivisa e ha contribuito a diffonderla: chissà se in qual momento si era accorta della donna accanto a lei, probabilmente no, visto che era tutta impegnata a digitare sul suo smartphone. Invece è più che probabile che la donna che indossa il niqab si sia accorta della sua vistosa compagna di viaggio; e chissà chi si è seduta per prima. Non sappiamo neppure cosa ne pensi di questa foto, non sappiamo se ha un profilo, chissà se ha saputo di essere l’involontaria causa di un dibattito che è arrivato fin qui.
Come immaginate, non ho mai avuto la fiducia del dottor Pangloss che questo sia il migliore dei mondi possibili e anzi, più passa il tempo, più mi sembra che questo sia il peggiore. Poi so bene che dobbiamo fare i conti con i nostri mondi reali, così imperfetti, e francamente quello in cui questa foto può essere scattata, quello in cui quelle due persone così diverse possono viaggiare insieme, una accanto all’altra, in metropolitana, vestite così, mi sembra il migliore dei mondi probabili. E, nonostante tutto, credo sia da difendere la libertà delle persone di vestirsi come vogliono, anche quando pensiamo sia sbagliato. Quindi, finché possiamo, difendiamo questo mondo qui, prima che ce lo tolgano.
Poi posso immaginare un mondo possibile, anzi lo devo fare perché me lo impone la mia passione per la politica, che non è altro che questa ricerca, incessante e spesso infruttuosa, del miglior mondo possibile. E in questo mondo possibile vorrei che quelle due persone non fossero costrette a vestirsi così. Ovviamente avrebbero tutto il diritto di farlo, se questa fosse davvero la loro convinzione, se questa fosse una loro decisione, se questo le facesse stare bene, se non fosse un’imposizione o una divisa. Sappiamo bene che il niqab è non solo il segno esteriore dell’adesione a un’antica e radicata fede religiosa, ma una forma di violenza contro le donne, il simbolo di un’idea ben radicata, anche nella nostra società, ossia che le donne hanno meno diritti e qualche dovere in più rispetto ai maschi.
Quelle due persone hanno in comune più di quello che la foto sembra suggerire. Perché in fondo anche quel trucco eccessivo, quella parrucca e quel vestito dai colori chiassosi sono un modo per nascondersi, per non farsi vedere, perché quello che sei non è ancora del tutto accettato, nonostante i tanti proclami, nonostante le tante conquiste fatte. Ho l’impressione che quel vestito sia una forma di difesa da un mondo che ancora respinge le persone omosessuali, perché il potere è sempre in mano ai maschi e la cultura dominante è, nonostante quello che proviamo tutti i giorni a fare, troppo maschilista e troppo omofoba. E’ la stessa cultura che impone il niqab e la paillettes, salvo poi essere pronta a bruciare l’una e l’altra cosa, in nome di una purezza vagheggiata e ipocrita.
Questa foto è certo un segno di libertà, ma anche quello di una sconfitta, o almeno di una lotta non ancora vinta e che in qualche modo sentiamo che diventa sempre più dura da combattere, aspettando il migliore dei mondi possibili.