Michele Ainis: E’ l’ora del proporzionale

per mafalda conti
Autore originale del testo: Michele Ainis
E’ l’ora del proporzionale
La legge elettorale c’è; gli elettori no, non più. Sicché potremmo enumerare un rosario d’argomenti per cambiare il Rosatellum, di cui è figlio questo Parlamento. Potremmo baloccarci sulle virtù del maggioritario e sui vizi del proporzionale (o viceversa). Potremmo in ultimo esplorare le volubili scelte dei partiti (l’anno scorso tutti d’accordo sul Brescellum, un proporzionale puro; poi trattative altalenanti su premi e cotillon di maggioranza; adesso chi lo sa). Tuttavia l’urgenza, l’impellenza, l’emergenza è riannodare il filo tra popolo e Palazzo.
Se il prossimo Parlamento fosse votato da meno d’un elettore su due — com’è accaduto ai sindaci — la democrazia italiana subirebbe una ferita, una crisi di legittimazione. Non che difettino varie altre ragioni per cestinare il Rosatellum.
In primo luogo, è un sistema pasticciato: 37 per cento di collegi uninominali, 63 per cento assegnato proporzionalmente alle coalizioni in collegi plurinominali. Dunque un maggiorzionale, che offre un posto in paradiso ai piccoli partiti (basta il 3 per cento) e un posto all’inferno alle coalizioni (oggi quella di centro-destra ha una gamba all’opposizione, mentre Lega e Forza Italia appoggiano il governo). Sicché può uscirne tutto e il suo contrario; non a caso in questa legislatura abbiamo assistito allo spettacolo di tre esecutivi con maggioranze opposte, dal governo di destra (Conte I) a quello di sinistra (Conte II), per chiudere con un destra-sinistra (Draghi).
In secondo luogo, il Rosatellum è un sistema truffaldino. Lo abbiamo visto all’opera nelle ultime elezioni, quando fra i candidati in lizza nell’uninominale hanno ottenuto un seggio sia il vincente che il perdente. Con quale trucco? Riservando a entrambi un posto nei listini bloccati, dove si distribuiscono due terzi della torta elettorale. E facendovi spazio, inoltre, ai leader delle formazioni politiche minori, dato che raccogliendo fra l’1 e il 3 per cento i loro voti si trasferiscono alla coalizione. Un regalo ricambiato dai partiti maggiori con qualche posto al sole nei listini, benché all’insaputa, per lo più, degli elettori.
In terzo luogo, è ormai un sistema a rischio d’illegittimità costituzionale. Dopo il taglio dei parlamentari, un decreto del dicembre scorso ha ridisegnato i collegi, rendendo il Rosatellum applicabile alle prossime elezioni. Si dà il caso tuttavia che quella legge, con un Parlamento dimagrito di 345 membri, produca effetti distorsivi. Perché nelle piccole Regioni — come la Basilicata, cui toccano tre senatori appena — le minoranze rimarrebbero a digiuno. E perché nei collegi uninominali ogni senatore finirebbe per rappresentare 800 mila elettori, più dell’intera popolazione di Malta. Occorre quindi rimediare, e occorre farlo adesso. Le riforme elettorali approvate un minuto prima di votare sono sempre sospette, diffondono veleni. Non per nulla nel 2002 la Commissione di Venezia (organo del Consiglio d’Europa) ne condannò apertamente l’uso, che peraltro in Italia è ormai un abuso.
Ma dopotutto è ancora un’altra la questione più importante: recuperare gli astenuti, riaccendere la voglia di votare. Dipenderà dai giocatori, però anche dalle regole del gioco. La prossima volta i partiti potranno pur sforzarsi d’esporre facce presentabili, anche se al peggio non c’è fine; ma ai cittadini bisogna garantire che il loro voto conta, che non verrà alterato. Dunque via le liste bloccate, da cui deriva la potenza dei segretari di partito e l’impotenza del popolo votante.
Via le pluricandidature (il Rosatellum ne permette addirittura cinque, oltre a quella di collegio), benché la Consulta non le abbia mai impedite. E scelta d’un proporzionale puro, con soglia di sbarramento alta ma senza troppe ibridazioni, in modo che ciascun elettore trovi l’emblema in cui riflettersi. Non perché questo modello superi i pregi del maggioritario: la qualità delle leggi elettorali dipende dal contesto, ben più che dal testo. Devono adattarsi alle stagioni della storia, agli umori prevalenti. Ma di questi tempi prevale il malumore.
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