Fonte: mymovies
Url fonte: http://www.mymovies.it/film/2015/miamadre/
di Dario Zonta, da MYmovies
Un film profondo e sincero, un film sul cinema e sul rapporto tra realtà e finzione, un film che s’appresta ad essere un manifesto del nostro tempo complesso e problematico
Margherita sta girando un film impegnato sulla crisi economica italiana dove si racconta lo scontro tra gli operai di una fabbrica e la nuova proprietà americana che promette tagli e licenziamenti. Oltre a dover gestire la complessità del set corale di un film politico, deve fare i conti con le bizze della star italo-americana che ha scelto per interpretare il ruolo del nuovo proprietario; un attore in crisi, ostaggio della sua maschera di divo, qui esasperata dal provincialismo del cinema italiano.
Margherita è separata, ha una figlia adolescente che frequenta malvolentieri il liceo classico in ossequio alla tradizione famigliare impressa dalla nonna (insegnante di latino e greco), ha un amante, attore nel film impegnato, mollato all’inizio delle riprese, e una vita confusa, solitaria e complicata. La concentrazione, richiesta per girare un film così difficile, tutto spostato verso il lato pubblico e politico, è minacciata dalle istanze del privato e dall’ombra sempre più densa della possibile morte della madre che la costringe a un confronto difficile e doloroso, soprattutto con se stessa e con il fratello Giovanni, un ingegnere posato che si è preso un periodo di aspettativa dal lavoro per accudire la madre malata di cuore, ricoverata con poche speranze in un ospedale della capitale.
Mia madre è un film profondo e sincero, tanto da essere quasi crudele per il lavoro che compie di scavo ineluttabile e autentico.
Non è il primo film in cui Moretti “mette a nudo” se stesso nel confronto con in suoi alter-ego cinematografici. Lo ha sempre fatto. Ma la natura di questo dialogo ha da qualche tempo assunto una qualità diversa. È come se avesse avuto bisogno di liberarsi della sua stessa maschera per guardarsi in faccia. E non è un caso che questo gesto coincida con il graduale mettersi da parte dell’attore/regista a favore di altri sembianti, figure, personaggi, attori. Moretti ha dovuto non coincidere con la propria immagine per avviare un confronto con se stesso. L’ha iniziato a fare con il Caimano e con Habemus Papam. Ma lì la crisi e le domande (pubbliche e private) venivano assunte da figure “politiche”, mentre ora il confronto è con il ruolo del regista nell’esercizio della sua funzione di direzione. Ecco, Moretti non ha cercato scappatoie, vie di fuga, facili “neologismi”. È andato diretto al punto.
Ad aumentare la complessità di un film ricco di suggestioni psicoanalitiche e di elementi autobiografici, c’è la scelta di trovare se stessi nel corpo di una donna. Margherita (Buy), alter-ego di Moretti, non si trasforma mai nell’icona dell’Apicella che fu. In questo senso, lui e lei riescono in qualcosa di molto difficile: confondersi l’uno nell’altra, dando vita a un genio complesso e originale.
A parte qualche piccola tentazione, dove è più evidente lo scambio di ruoli, la Margherita del film è una figura autonoma, la cui sensibilità e intelligenza non è eterodiretta. E lo stesso Moretti (che interpreta il fratello Giovanni) vive in uno spazio riservato, metabolizzando l’imminente morte della madre con una riservatezza commovente e laica, lasciando alla sorella il primo piano di una crisi mai esasperata, ma appunto profonda e complessa.
Ma c’è tanto di più in questo film così stratificato, solo in apparenza intimista. Intorno al nucleo di un dolore privato, Moretti con i suoi sceneggiatori e sceneggiatrici erige un edificio fatto di diversi piani, ognuno dei quali sviluppa un discorso, un tema, una riflessione.
Mia madre quindi è anche un film sul cinema, sul rapporto tra realtà e finzione.
La prima scena è uno scontro tra manifestanti operai e poliziotti. Per come è stata girata, prim’ancora di scoprire il film nel film, si intuisce che c’è puzza di “finzione”, ma nel senso (potremmo dire tutto italiano) di fasullo: le botte dei poliziotti non sono così realistiche, l’azione dei manifestanti appare improbabile, l’azione è povera… non è solo una sensazione, presto qualcuno grida “stop” e inizia a lamentare la povertà della scena. È Margherita al centro del suo set che inizia a mietere dubbi nei suoi collaboratori, facendosene carico lei stessa. Parlando al direttore della fotografia che aveva posizionato la camera dentro alla mischia riproducendo un senso di realismo brutale e spettacolare, Margherita esprime il suo dubbio etico: “ma tu stai con i poliziotti o con i manifestanti”? Domande che pochi si fanno, ormai, ma che Moretti continua a fare e non è un caso che le sequenze del film nel film, il racconto della protesta degli operai, siano così maldestre, improbabili, finte (Moretti infatti non girerebbe mai un film così).
Ma c’è dell’altro, se volessimo andare a fondo. La dimensione politica e pubblica, la lotta degli operai, la crisi economica così come s’affacciano nel film sembrano aver perso ogni urgenza e necessità. Non interessa a nessuno della sorte degli operai. In questo senso Mia madre è un film che racconta una stanchezza e una inadeguatezza. L’ingegnere Giovanni (interpretato da Moretti) si è messo in aspettativa per poi dare le dimissioni e la regista Margherita gira il suo film politico senza troppa convinzione, come fosse un dovere, con una certa stanchezza e sfiducia verso il mezzo stesso, verso la finzione. Margherita, come il suo divo americano dopo l’ennesima notte di ciak andati male, vuole tornare alla realtà, che si quella tangibile del privato e qualcosa d’altro in via di definizione.
In questo senso il film è di una cupezza esemplare, quasi senza scampo, perché attraverso l’alter-ego, ci dice che il suo autore non riesce più a credere che iquel cinema (il suo? quello italiano? quello di finzione?) sia il modo più efficace per raccontare il presente politico e sociale. Non per questo, sia ben chiaro, bisogna intendere Mia madre come un’opera che si rifugia nell’intimismo e nel privato. Anzi proprio nell’attivare questa dialettica così stringente tra individuo e società, privato e pubblico, personale e politico, attore e regista, uomo e icona… il film s’appresta ad essere un manifesto del nostro tempo complesso e problematico.