Fonte: La Stampa
Meloni, la Casa Bianca e la complicata cena del “mi baciano il culo”
arà ricordato come il giorno in cui non si capisce più niente. Il giorno della cena del «Baciatemi il culo», una replica su scala planetaria del trattamento Zelensky: vecchi amici, vecchi alleati, vecchi compagni di sovranismo e di battaglie contro la wokeness, umiliati con brutalità e raccontati come questuanti in fila per inchinarsi all’imperatore e supplicare pietà.
Ma anche il giorno in cui i medesimi dazi vengono ritirati per novanta giorni, tre mesi di tregua, e dunque non si spiega come dovrebbero regolarsi i potenziali baciatori di deretano e pure gli altri, i colleghi di partito di Trump, irrisi come nullità all’ora di cena («tizi che vogliono mettersi in mostra» con i ridicoli suggerimenti sul congelamento dei nuovi dazi) e dieci ore dopo accontentati dal dietrofront della Casa Bianca, che va esattamente nella direzione da loro indicata.
Donald Trump, al quarto giorno di caos sui mercati, prima alza il prezzo di ogni negoziazione, auto-sabota ogni possibile dialogo sulle tariffe (difficile immaginare che anche i più confidenti, anche i più famigli, possano adeguarsi allo schema di sottomissione assoluta che ha proposto), poi cambia idea.
Avrebbe dovuto essere l’assist della seconda parte della legislatura, così come il buon rapporto con l’Europa è stato elemento di forza del primo biennio: il magro bottino degli affari interni in termini di ripresa, tasse, grandi riforme istituzionali, sarebbe stato compensato da uno scintillante recupero italiano sul fronte degli affari internazionali e da un’Italia “grande” almeno nelle relazioni con Washington.
La prospettiva appassisce ogni volta che il presidente Usa apre bocca. E dopo la cena del Baciatemi il culo, dopo il giorno in cui non si capisce più niente, il doppio appuntamento americano, con Trump il 17 e subito dopo con J.D.Vance a Roma, diventa un considerevole fattore di rischio.
Così, le conseguenze di queste folli ventiquattr’ore sono almeno due, molto concrete. La prima riguarda la scelta europea della premier, intrapresa nel 2022 più per necessità che per convinzione e spesso ammantata di distinguo, furbe astensioni e altri trucchi per evitare di intrupparsi fino in fondo con i vecchi nemici del sovranismo.
Il secondo effetto è sulla concorrenza interna e sul timore di una remuntada di Matteo Salvini che in congresso si è proposto come il vero amico italiano del mondo Maga.
Persino il Capitano ieri ha dovuto definire «disgustosa» l’immagine di vassallaggio assoluto proposta da Trump. Neanche lui vuole essere accomunato a quelli che si mettono in fila per soddisfare le bizze di un imperatore che alle otto di sera dice «è il nostro momento di fregarvi» e la mattina dopo cambia idea su un’operazione di portata planetaria come le tariffe.
L’evento del National Republican Congressional Committee sarà ricordato come la cena del Baciatemi il culo, il giorno successivo come l’alba del non si capisce più niente, ma forse entrambi segneranno il momento in cui il trumpismo italiano si è svegliato dal suo sogno di gloria e ha cominciato a temere che diventi un incubo.